Investire nel value premium è ancora attuale?

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Philipp Meyer-Brauns, senior researcher and vice president, Dimensional Fund Advisors

Che fine ha fatto il value premium? Di fronte al lungo periodo di sottoperformance, il cruccio di molti investitori è comprendere se sia scomparso del tutto oppure se la fase negativa sia temporanea. Per dare una risposta a questo quesito e capire quali siano le prospettive future per gli investimenti value, CFA Society Italy ha organizzato una conferenza con un esperto del settore, Philipp Meyer-Brauns, senior researcher e vice president di Dimensional Fund Advisors, casa di gestione pioniera nel value investing.

Il momento attraversato dagli investimenti value non è dei migliori, “ma se si prende in considerazione una serie storica più ampia lo scenario cambia", osserva Philipp Meyer-Brauns. "Ad esempio tra il 1928 e il 2018 i mercati statunitensi hanno ridistribuito dei value premium medi del 4,7%, nonostante l’alta volatilità”, spiega.

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Tra il 2009 e il 2018, le stretegie value nel principale mercato azionario mondiale, quello statunitense, hanno generato rendimenti negativi, “ma questo non è accaduto in tutti i mercati del mondo”, precisa Philipp Meyer-Brauns. “In Giappone, il secondo mercato equity più grande, si è verificato l’opposto”. “Inoltre, se negli ultimi 10 anni le strategie value sui mercati USA hanno prodotto risultati con il segno meno”, spiega Meyer-Brauns, “non si può dire lo stesso del decennio antecedente”. E ancora: “Considerando un arco temporale tra il 1927 e il 2018", spiega il ricercatore, "nei 10 anni successivi a 10 anni di premium negativi in media il value è cresciuto dell’8,3%”. Alla luce di ciò, a chi si domanda se sia finito il tempo degli investimenti value Meyer-Brauns risponde: “le cose sui mercati cambiano velocemente, certo la storia non si ripete, ma spesso fa rima. Le performance passate non sono garanzie di risultati futuri. Ma non è possibile escludere che i value premium torneranno a crescere”, spiega.

Inoltre Meyer-Brauns sgombera il campo da alcune narrazioni legate al contesto macroeconomico che porterebbero ad ipotizzare una fine del value premium. Secondo la ricerca presentata infatti, le performance negative del value non sono relazionate ai tassi di interesse e all’inflazione statunitensi, non esiste una correlazione con la crescita del GDP nei mercati sviluppati e non è nemmeno dimostrabile una relazione con la fase finale di un ciclo economico. Tutto ciò porta a concludere che “i value premium sono volatili e possono attraversare periodi pronunciati di sottoperformance”, spiega il ricercatore di Dimensional Fund Advisors.

La relazione tra value e growth: un'inversione è possibile? 

L’evento è poi proseguito con una discussione moderata da Matteo Riccardi, membro del board di CFA Society Italy, a cui hanno preso parte Luca Forlani, portfolio manager di Eurizon SGR e Dennis Montagna, portfolio manager di Credit Suisse AM. Secondo Forlani le sottoperformance del value non si spiegano con la crescita del growth. Una domanda da porsi, invece, per il gestore è quanto nelle quotazioni dei titoli growth pesi la disruption tecnologica e se esiste un rischio bolla come alla fine degli anni 90'. In questa fase di mercato i titoli growth risultano di certo più attraenti per gli investitori, tuttavia anche Montagna ha delle perplessità sulla loro ascesa “per la loro componente altamente intangibile, del 70% per alcune aziende del Tech e del 95% per alcune farmaceutiche, e non è ancora chiaro come nel futuro verranno generati utili o flussi di cassa”. “Non è facile capire quando e se ci sarà un’inversione tra value e growth”, aggiunge Forlani, “tuttavia mi sento di dire be careful what you wish perché i premium value potrebbero tornare in uno scenario di mercato bear dovuto all’innalzamento dei tassi di interesse da parte delle banche centrali”.

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È un buon momento dunque per investire in strategie value? Secondo Montagna “i periodi migliori per estrarre valore sono dopo le recessioni, in mercati in caduta. Quindi dal punto di vista tattico bisogna essere pazienti. Dal quello strategico invece Sì, perché lo scenario potrebbe cambiare”. Ma aggiunge, Philipp Meyer-Brauns: “stando pronti a sopportare periodi di volatilità”.