USA: le riforme di Trump, rischi e prospettive

Moyan Brenn, Flickr, Creative Commons
Moyan Brenn, Flickr, Creative Commons

Il programma di Donald Trump punta a ricostruire i punti di forza fondamentali dell’economia americana conferendo un forte slancio a famiglie e imprese statunitensi. Il neo presidente americano ha proposto diverse misure di stimolo fiscale, tra cui i tagli alle imposte sulle persone fisiche e giuridiche e una nuova forma di spesa in infrastrutture che si basa su finanziamenti del settore privato con ricorso al debito. Le politiche di Trump potrebbero rappresentare un rischio nel medio termine per la sostenibilità della crescita americana. Se da un lato il target di crescita del 4% del Pil statunitense potrebbe sembrare ambizioso, il perseguimento di questo obiettivo rischia di surriscaldare l’economia americana. Con l’inflazione headline che si sta avvicinando alla soglia del 2% e con quella core che sta sperimentando una pressione al rialzo verso il medesimo target, il programma fiscale di Trump rischia di portare a un ulteriore rialzo dei rendimenti obbligazionari a medio-lungo termine, con le aspettative sull’inflazione che continuano a crescere. Nel corso del 2017 sarà importante osservare come verranno chiarite le divergenze tra Trump e i Repubblicani del Congresso su questioni come la Russia, la revoca dell’Obamacare, il libero scambio e la riforma fiscale. Nel caso in cui Trump decidesse di agire unilateralmente sul commercio, potrebbe mettersi contro i Repubblicani, mettendo a rischio la collaborazione su altre questioni.

Secondo gli esperti di Jupiter Asset Management, con il Congresso USA rimasto in mano ai Repubblicani, è probabile che Trump riesca a portare a termine l’intento di avviare un’importante politica di espansione fiscale in un momento in cui l’inflazione sui salari sta già accelerando. A differenza degli ultimi anni in cui la Fed  ha costantemente rinviato l’aumento dei tassi di interesse, nel 2017 la situazione sarà decisamente diversa.

Gli esperti spiegano che l’inizio della normalizzazione dei tassi di interesse comporta anche l’inizio della fine della repressione finanziaria. Dalla crisi finanziaria del 2008, i mercati hanno vissuto condizioni senza precedenti, quindi la FED al fine di riuscire a gestire il crollo ha usato ogni strumento a sua disposizione. L’impatto cumulativo del QE (quantitative easing) e ZIRP (zero interest rate policy) sui risparmiatori privati ed istituzionali è stato quello di imporre la repressione finanziaria. Con 13 mila miliardi di dollari in obbligazioni sovrane che scambiavano a rendimenti negativi (a giugno 2016), era diventato pressoché impossibile investire in asset privi di rischio. Questo ha lasciato gli investitori di fronte a due alternative: rischiare comprando azioni o corporate bond per generare un qualunque tipo di rendimento reale oppure accettare che il capitale venga eroso dall’inflazione, se trattenuto in cosiddetti asset privi di rischio come liquidità e obbligazioni sovrane.

La fame di rendimenti generata dal mantenere i tassi di interesse a livelli prossimi allo zero ha portato i rendimenti dei bond a livelli storicamente bassi, rendendo più interessante qualsiasi strumento simile alle obbligazioni. Inizialmente, questo significava puntare sulle utilities, poi sui REITs (Real Estate Investment Trusts) e tutto ciò che avesse buoni dividendi: alla fine, tutto ciò si è tradotto in tutti gli asset a lunga duration, tra cui le azioni growth, spingendo le valutazioni delle azioni oltre il loro fair value.

Di conseguenza, gli asset e le azioni che sono riusciti a sfruttare la compressione dei rendimenti obbligazionari, passando dalle utility alle più aggressive azioni growth, sono ora i più a rischio. Questo fattore porterà probabilmente ad un’inversione di tendenza tra gli stili di investimento growth e value che ha visto le azioni value seguire il benchmark negli ultimi anni. I titoli finanziari, poco attraenti quando i rendimenti obbligazionari scendevano, sono una delle poche aree che dovrebbe beneficiare di una migliore crescita, una minore regolamentazione e dell’aumento dei tassi di interesse.