Uno sguardo al risk manager del futuro

Giorgio Fata
Giorgio Fata

L’attività di risk management è relativamente giovane: 20 anni fa, in particolar modo in Italia, veniva vista come uno spin-off del risk management bancario, mentre oggi il risk management in ambito asset management ha acquisito una specifica connotazione, ed è parte attiva dei principali processi aziendali. “Mi aspetto quindi un sempre maggiore contributo, non solo sul presidio dei rischi dei prodotti gestiti, ma anche sull’impostazione strategica della società”, spiega Michele De Sario, responsabile Risk Management di Eurizon Capital SGR

“La relazione e la comunicazione con le diverse realtà aziendali rimarranno un elemento essenziale del nostro lavoro: il risk manager continuerà a fornire un supporto interfunzionale alle diverse strutture aziendali, contribuendo ai processi core della SGR”. 

Anche secondo Andrea Panzeri, responsabile Risk Management di Kairos, “l’attività si è evoluta tantissimo, basti pensare che negli anni ‘90 il concetto di risk management in ambito finanziario era appena accennato e si faceva riferimento a generici controlli interni, con mansioni a cavallo tra compliance e internal audit”. Oggi, con l’evoluzione dei tempi e anche della normativa, la funzione del risk management è una divisione vera e propria, molto centrale per l’attività di una SGR. Il risk manager deve mantenere il suo ruolo sopra le parti, senza esporsi con pareri sugli investimenti. “Per il futuro, la sfida più interessante sarà quella di restare al passo con i tempi rispetto alle evoluzioni normative rispetto alle diverse condizioni di mercato che ci troviamo ad affrontare”.

Francesco De Matteis, head of Risk Management di Azimut Holding, pensa che rispetto al passato siano le soft skill a fare la differenza, ossia la capacità di interfacciarsi con le altre aree e funzioni dell’azienda e la capacità di relazionarsi con i board. “Nella selezione delle persone consideriamo quindi anche le capacità comunicative e relazionali”. Nel corso degli ultimi 10 anni in seguito alla crisi del 2008, i regolatori hanno cominciato a produrre normative sempre più vicine al lavoro tipico del risk manager, come la recente Money Market Fund Regulation, oppure alla regolamentazione SEC sul liquidity risk.

“Da una parte questo ha reso il risk management sempre più strategico, ma dall’altra molto del lavoro si è focalizzato più sulla produzione di nuovi report per i regolatori, che non in veri risk assessment che possano dare un vero valore aggiunto al business. Spero che questo trend cambi presto perché i rischi sistemici di questo approccio stanno crescendo”. 

Inoltre, bisogna considerare che la filosofia di base non è cambiata, ossia la profonda conoscenza del contesto di riferimento e dei fattori che determinano la valutazione degli asset per poter gestire il rischio complessivo degli strumenti finanziari inseriti nei portafogli, ma è cambiato il contesto di riferimento. “Questo ha condotto a una revisione degli algoritmi di calcolo degli indicatori di rischio cercando di calibrare i fattori che consentono di cogliere con prontezza le variazioni dei regimi di volatilità dei mercati finanziari, senza impedire una gestione attiva del portafoglio”, spiega Alessio Ginocchietti, head of Risk Management di Pramerica SGR.

“Le nuove sfide possono essere ricondotte all’individuazione, e successiva standardizzazione, di metriche di rischio in ambiti in cui non esiste una formulazione univoca o, in ogni caso, una best practice standardizzata. Ad esempio, una stima accurata del VaR. Oggi si inizia a dispiegare il concetto di gestione della liquidità integrato della metrica del VaR, aspetto su cui ancora non è emerso uno standard unico e riconosciuto di mercato", conclude il manager.