UniCredit, in pole position nel post Ghizzoni c’è Marco Morelli, vice presidente Bofa-ML

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Settimana decisiva per i vertici di UniCredit. Martedì si riunisce il CdA e, nelle ultime ore, pare che i grandi soci stiano insistendo nella richiesta di dimissioni da parte dell’amministratore delegato Federico Ghizzoni che oggi è a Madrid per inaugurare la nuova sede di UniCredit e poi avere un incontro con il re di Spagna Felipe VI di Borbone a Palazzo. A tenere i contatti, intensi anche durante il week end, il presidente Giuseppe Vita, che ha il compito di gestire questa difficile fase di transizione verso un nuovo assetto di vertice. A questo punto, non è detto che le dimissioni di Ghizzoni saranno formalizzate già martedì ma il banchiere, che nel 2015 ha incassato 3,2 milioni tra stipendio e altri compensi, a cui vanno aggiunti 1,9 milioni in azioni, avrebbe già concordato condizioni e modalità del passo indietro.

Ora, anche per evitare pericolose ricadute sul titolo, l’obiettivo è di gestire un passaggio di consegne meno traumatico possibile. In questo scenario, è probabile che l’uscita dell'amministratore che ha guidato la banca negli ultimi cinque anni possa essere ufficializzata con l’impegno di mantenere il proprio incarico fino alla nomina di un nuovo amministratore delegato. Ma cosa è successo? In realtà sono mesi che circolano con insistenza voci sulla necessità di una ricapitalizzazione della banca che Ghizzoni, consapevole della difficoltà di trovare denari a fronte di risultati molto deludenti (in Borsa il titolo ha lasciato sul terreno quasi il 50% dall’inizio dell’anno, senza contare le perdite rilevantissime degli anni precedenti) e dopo che la banca negli ultimi dieci anni ha effettuato ben tre aumenti di capitale per un totale di circa 15 miliardi di euro. L’insoddisfazione dei grandi azionisti per i risultati della gestione è cresciuta negli anni e molto negli ultimi mesi e lo scorso ottobre è stato presentato un piano industriale giudicato insoddisfacente. E anche i risultati trimestrali (pur superiori alle stime di consensus degli analisti) segnano un calo degli utili di circa il 20% rispetto a quelli realizzati nello stesso periodo dello scorso anno.

In altre parole, la redditività della banca non è sufficiente a produrre un rafforzamento patrimoniale, mentre sul fronte delle cessioni in tutti questi mesi non sono stati fatti significativi passi in avanti. Il risultato è che il Cet1 è al 10,86%, di poco sopra al minimo regolamentare del 10,50% previsto dalla BCE per le banche italiane, e data la mole di NPL in capo all’istituto e a redditività in calo, crescono i timori che il Cet1 possa ulteriormente calare nei mesi a venire. Secondo Rbs il titolo, che già tratta con uno sconto del 60% rispetto alla media dei prezzi-obiettivo degli analisti, “prezza un deficit di capitale di 9 miliardi di euro ed è ipotizzabile un aumento di capitale di 5 miliardi” mentre Equita SIM ritiene probabile un aumento di capitale superiore ai 5 miliardi nel secondo semestre del 2016.

Quanto ai nomi in lizza, le indiscrezioni di queste ore continuano a vedere in pole position Marco Morelli, vice presidente Bofa-Merrill Lynch per Europa e Medio oriente. Tra gli altri nomi circolati, quelli di Flavio Valeri (Deutsche Bank Italia), il francese Jean-Pierre Mustier, ex Unicredit, oltre a quello di Alberto Nagel, AD di Mediobanca, e Gaetano Miccichè, DG di Intesa SanPaolo. In ambienti finanziari internazionali si raccoglie anche l'ipotesi Fabrizio Viola, AD di MPS. Diverse posizioni anche sulla presidenza. Con i soci che sono divisi sull’ipotesi di una conferma di Vita o di un rinnovamento complessivo. In questo caso, avrebbe ottime chances Lucrezia Reichlin, consigliere eletto dai fondi. Ma c’è anche, tra gli azionisti, chi vorrebbe che ad assumere la carica di presidente sia lo stesso Ghizzoni. L’incarico di trovare il manager adatto a succedere a Ghizzoni è affidato a un cacciatore di teste. Il nuovo AD dovrà ideare il nuovo piano industriale e che andrà adeguatamente finanziato. Ma su questo non ci sarebbe identità di vedute tra i soci: la gran parte degli azionisti sarebbe favorevole un aumento di capitale consistente, mentre le fondazioni azioniste preferirebbero un drastico piano di dismissioni (a partite da Fineco) per evitare investire ancora quando devono già gestire una pesante minusvalenza potenziale.