Una manovra finanziaria al cardiopalma

Paul Cross, Flickr, Creative Commons
Paul Cross, Flickr, Creative Commons

Niente accordo, almeno per ora. Il conto alla rovescia per la manovra finanziaria è cominciato ma manca il dato fondamentale: quanto deficit il governo è disposto a fare. Dopo una serie di riunioni l’impressione è che qualche crepa si sia aperta in seno al governo. Da una parte il ministro dell’Economia Giovanni Tria non sembra disposto a cedere sul rapporto debito/PIL come invece chiedono Lega e Movimento 5 Stelle, che pretendono di sforare il 2%. Le cose, insomma, andranno probabilmente per le lunghe, prima di poter leggere la nota ufficiale di aggiornamento del Documento di economia e finanza, (anche se mentre scriviamo si vocifera un compromesso al 2,4% ndr). I mercati stanno a guardare, non senza scossoni. I titoli di Stato sono sotto pressione. A soffrire sono stati soprattutto i bond governativi italiani a breve scadenza mentre lo spread saliva per poi riposizionarsi a quota 250 punti.

“Il punto di partenza è piuttosto impegnativo”, spiega Silvia dell’Angelo, senior economist di Hermes IM. “Il debito pubblico italiano si attesta al 132% del PIL, e i recenti sviluppi hanno reso ancora più incerta la sostenibilità del debito: la crescita del PIL è rallentata quest’anno e i costi di finanziamento sono aumentati negli ultimi mesi in risposta all’incertezza politica interna. Quest’ultimo grava ancora sul progetto della Manovra, poiché all’interno del governo è emersa una divisione a tre vie. Il ministro delle Finanze Tria ha trasmesso un messaggio rassicurante alle istituzioni europee e ai mercati finanziari approvando un approccio ortodosso al bilancio e assicurando il rispetto delle regole fiscali. Ma i leader dei due principali partiti che sostengono il governo di coalizione stanno spingendo per far prevalere i punti principali del loro programma politico, vale a dire la Flat Tax per la Lega e il reddito di cittadinanza per il M5S. Entrambe le misure sono di per sé costose, quindi la loro combinazione (del valore complessivo pari a 80-100 miliardi di euro o al 5-6% del PIL) farebbe esplodere il deficit”.

Sebbene, come ironizza Stewart Robertson, senior economist di Aviva Investors, i politici italiani hanno “una lunga esperienza nel mettere in scena dei drammi di fronte a situazioni di crisi”, è chiaro che la situazione non può essere sottovalutata: “il Paese ha un rapporto debito/PIL tra i più alti in Europa e qualsiasi deviazione dal contenimento fiscale può portare rapidamente a enormi problemi. I mercati obbligazionari ne sono ben consapevoli: l'aumento dei rendimenti dei BTP da meno dell'1,8% in aprile a oltre il 3% a maggio e di nuovo in agosto (l’ultimo al 2,95%) riflette direttamente queste preoccupazioni. Le ultime indiscrezioni suggeriscono che le tensioni all'interno del governo si stanno facendo sempre più evidenti”, afferma Robertson. “Se le divergenze non verranno risolte rapidamente, potranno succedere ancora molte cose, e molto problematiche”. Non solo, secondo l’esperto, si potrebbe aprire una crisi di governo, ma la proposta definitiva potrebbe portare ad uno scontro con la Commissione europea.

Focus sulle banche

All’interno della prossima Legge di Bilancio c’è spazio anche per capire cosa accadrà alle banche italiane, una volta chiuso il rubinetto della BCE, come fa notare Andrew Fraser, head of financial credit research di Aberdeen Standard Investments. “Non ci sono soluzioni semplici per le banche italiane. La Commissione Europea, l’UE, la BCE e la Banca d’Italia ne sono perfettamente consapevoli. E sospetto che anche Matteo Salvini e Luigi Di Maio ne saranno informati mentre si apprestano a definire il budget. Alcune delle proposte di cui si sente parlare metterebbero a dura prova anche un settore bancario solido. In questa fase, però, molte banche italiane sono in terapia intensiva e, quando la spina della liquidità a buon mercato sarà staccata, i politici italiani dovranno assicurarsi che qualsiasi medicina stiano pianificando per gli elettori possa essere tollerata anche dal sistema bancario. Questa crudele realtà potrebbe condurre Di Maio e Salvini su sentieri più moderati. Perché perfino loro sanno che il populismo ha i propri limiti quando il risultato genera un danno per il settore bancario, una profonda recessione e gravi perdite sulle obbligazioni bancarie detenute dai propri elettori”, conclude l’esperto.