Tilotta (AcomeA): “il fondo salva-banche va nella giusta direzione”

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foto: giuliaduepuntozero, Creative Commons, Flickr

Lo Stato arriverà fino al 70% di Mps, ma la banca senese dovrà presentare un nuovo piano di ristrutturazione alla Bce. Questo in soldoni il riepilogo di una vicenda in fieri che, a cavallo delle festività natalizie, ha tenuto in bilico Roma e Francoforte. Il travagliato salvataggio del Monte dei Paschi di Siena dominerà le cronache finanziarie del 2017 e costerà al governo circa 6,6 miliardi di euro: 4,6 miliardi sarebbero necessari per soddisfare i requisiti di capitale e circa 2 miliardi per compensare gli obbligazionisti retail. Poi ci sarebbero altri 2,2 miliardi di euro di costi sostenuti dagli investitiori istituzionali, per un totale di 8,8 miliardi di euro, così come richiesto alla vigilia di Natale dalla BCE. Cifre, con possibili limature, che dovranno essere procurate da azionisti, obbligazionisti subordinati e da ultimo dallo Stato, che entrerà pesantemente nel capitale con una "ricapitalizzazione precauzionale".

Data la delicatezza della situazione di Mps, arrivata a poche settimane dal prosciugare la propria liquidità; dati i molteplici aumenti di capitale precedenti, bruciati dal crollo in borsa delle azioni; dati i due precedenti interventi del Tesoro nel capitale, sottodimensionati rispetto alle reali necessità della banca, alla Bce è parso opportuno applicare ampi margini di sicurezza: ora che è in campo una nazionalizzazione della banca, si vuole che l'intervento dello Stato sia un intervento risolutivo, e che effettivamente il Tesoro resti azionista su un orizzonte massimo di 18-24 mesi. Le operazioni sono perciò molto complesse e bond e azioni rimarranno  probabilmente sospesi dalle quotazioni per alcune settimane, almeno fino a marzo. “In base ai nostri calcoli preliminari, inserendo un aumento di capitale da 8,8 miliardi di euro, le nuove azioni saranno emesse a un prezzo di 17,4 euro e il numero di azioni della banca salirà da 29 a 527 milioni”, dicono gli analisti di Equita SIM.

L’intervento sistemico varato dal governo di Paolo Gentiloni ammonta nel complesso a 20 miliardi e comprende anche altre misure tecniche – dalle garanzie sulla liquidità alle garanzie sulla cartolarizzazione delle sofferenze – di cui potrebbero benficiare anche altre banche in difficoltà alle prese con un delicato piano di stabilizzazione e di riduzione delle solite sofferenze. In cima alla lista, ad esempio, ci sono le due popolari venete (Popolare di Vicenza e Veneto Banca), che devono però prima passare dall'approvazione del bilancio 2016, dove il nuovo management farà ulteriore pulizia e recepirà le perdite operative del secondo semestre.

Comunque sia, secondo Giacomo Tilotta, gestore Italia ed Europa di AcomeA SGR, il fondo salva-banche “va nella giusta direzione”. “Le difficoltà della banca senese ad eseguire l’aumento di capitale da 5 miliardi, sono state dovute principalmente  all’impossibilità di trovare un anchor investor”, spiega Tilotta. “L’esito del LME (ossia la conversione volontaria delle obbligazioni convertibili), invece, era stato in linea con le aspettative. L’approvazione del decreto ministeriale che prevede l’istituzione di un fondo da 20 miliardi di euro che sarà utilizzato per le ricapitalizzazioni precauzionali e per le garanzie sulla liquidità per le banche che lo chiederanno, è a nostro avviso un elemento positivo, che sebbene non risolutivo, va nella giusta direzione di contribuire a ridurre il rischio sistemico fino ad oggi percepito”. Eppure, secondo l’esperto, non bastano solo queste misure. “Chiaro è infatti che se queste misure saranno accompagnate da un recupero di redditività del settore bancario, contestuale ad un miglioramento del quadro economico e di una risoluzione definitiva del nodo delle sofferenze, il recupero del gap valutativo delle banche italiane rispetto a quelle europee può trovare solide radici”.

Banca Imi al momento lascia il rating sul titolo Mps in revisione “fino a quando la situazione non diventerà più chiara in termini di fabbisogno di capitale e di piano di ristrutturazione”. Comunque “una soluzione per il problema di Mps senza impatto o con implicazioni limitate sui detentori di bond potrebbe ridurre il rischio sistemico del settore”. Banca Imi ha messo in revisione anche il giudizio sui cover e senior bond (prima buy) e sui bond subordinati (prima sell) della banca. Quanto a obbligazioni subordinate, la banca ne ha per 4,2 miliardi, di cui circa 2 in mano ai piccoli risparmiatori. Ed ecco perché il Tesoro dovrebbe mettere 6,5 miliardi: coprirebbe la differenza tra 8,8 e 4,2 miliardi, ovvero 4,6 miliardi. Poi andrebbe a rilevare le azioni rivenienti dalla conversione dei subordinati retail, poco meno di 2 miliardi ipotizzando che nel frattempo una parte sia passata a investitori istituzionali. Quindi, dopo tutta questa vicenda articolata, lo Stato si ritroverebbe il 70% della banca. Intanto resta il problema dei crediti deteriorati. Nelle idee dell’ad Marco Morelli c’era che l’aumento di capitale da 5 miliardi prevedeva la cessione di circa 28 miliardi di sofferenze lorde. Che erano solo una parte del totale dei crediti cattivi, pari a oltre 45 miliardi. Ora bisogna capire se il fondo Atlante gestirà o meno l’operazione a fianco del Tesoro.