Strumenti passivi, che uso ne fanno i fund selector

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Giorgio Fata

Ci sono alcune asset class che hanno dimostrato nel tempo di poter essere coperte in modo strutturale con gli strumenti passivi, dato il livello di efficienza del mercato e quindi la difficoltà di generare extra rendimento rispetto agli indici. Viceversa alcune asset class continuano a prestarsi meglio ad un approccio più attivo. Vediamo cosa ne pensano i fund selector.

“Gestiamo alcuni portafogli investiti totalmente in strumenti passivi e riteniamo innegabile il successo dello strumento passivo per la forte attenzione ai costi”, commenta Federico Pitocco, fund selector di Morningstar. “Abbiamo altresì portafogli che adottano una struttura blend, e dove il mix dei fondi fondi sottostanti è composto sia da fondi attivi che passivi. Un’importante novità che abbiamo iniziato ad introdurre sul mercato negli ultimi anni è rappresentata dei mandati con vincolo di costo".

"In questo caso è il nostro cliente che fissa dei limiti in termini di TER del prodotto e poi sta al gestore popolare il portafoglio attraverso un mix di strumenti attivi e passivi, fermo restando il budget di costo complessivo del portafoglio”. Pitocco continua “questo approccio che ha riscosso un ottimo successo in termini commerciali, ha portato anche a degli enormi vantaggi dal punto di vista della trasparenza e della efficacia comunicativa nei confronti dell’investitore finale”. 

Chiara Mauri, senior fund analyst di Fideuram Investimenti SGR ci spiega che “nell’utilizzo di strumenti passivi o di strumenti attivi occorre sempre far riferimento all’asset class che si vuole considerare, poiché, in generale, non esiste uno strumento in assoluto migliore dell’altro. Per i bond governativi e per le azioni americane di solito preferiamo gli ETF, mentre prediligiamo i gestori attivi ad esempio in alcuni mercati del credito. Più bilanciata la situazione sui mercati emergenti e sull’azionario Europa, dove variabili come volatilità, liquidità e una minor efficienza, possono generare maggiori opportunità per il gestore attivo”.

Anche Ersel privilegia strumenti passivi nelle asset class dove l’efficienza di mercato è superiore, dove le leve gestionali per creare valori sono poche o c’è una copertura ampia e competitiva e diventa difficile trovare persistenza nei risultati. “La gestione passiva ci consente di arrivare a un costo finale per l’investitore più contenuto. Risparmiamo dove è più facile presentare risultati. Si parla molto di soluzioni passive nuove, una via di mezzo tra le due, ma noi rimaniamo molto scettici. In passato si è visto che i tentativi di replica sono molto simili al sottostante quasi una sorta di derivata seconda difficile da controllare”, fa notare Giorgio Bensa, fund selector di Ersel.

Mediobanca invece, ha sviluppato un processo di selezione sugli ETP, che garantisce massima flessibilità al cliente nella scelta del fondo o l’ETF da inserire in portafoglio. “In particolare, ci siamo focalizzati sul mercato italiano per ridurre i costi di trading offrendo analisi su questa tipologia di strumenti in termini di tracking difference, volatility e masse”, spiega Francesco Margonari, fund selector di Mediobanca. “L’obiettivo è fornire una soluzione libera all’investimento, che possa evitare troppo scostamento dall’andamento dei mercati e una riduzione dei costi".

"Per il momento utilizziamo questi prodotti per prendere posizioni core su asset class tradizionali come equity, in particolare America o Giappone o lato governativo. Non utilizziamo smart beta, perché non sono strumenti facilmente comprensibili e non rispondono al contesto di crescente volatilità del momento. Spesso le strategie quantitative sono quelle che soffrono di più con il cambio di volatilità”.