Contributo a cura di Jeffrey Schulze, CFA, director e investment strategist di ClearBridge Investments, affiliata Legg Mason. Contenuto sponsorizzato.
Il settore manifatturiero statunitense è tornato a crescere nuovamente dopo cinque mesi di contrazione, stando agli ultimi dati dell’indice PMI dell’ISM. L’incremento della fiducia nelle imprese non è una sorpresa, visto il recente accomodamento monetario, una crescita globale stabile e la firma di un nuovo accordo commerciale provvisorio tra Stati Uniti e Cina. Di particolare rilevanza per noi è stata la crescita dei nuovi ordini alle imprese, da 47.6 a 52 (grafico 1), sufficiente per modificare il segnale ISM New Orders della nostra tabella proprietaria sul rischio recessione da rosso (in recessione), come è stato fino a settembre 2019, a giallo (cautela).
Questa variazione rappresenta un cambiamento in positivo per la nostra Recession Risk Dashboard, anche se due indici restano in rosso, la curva dei rendimenti e la crescita dei salari. A gennaio, gli effetti del coronavirus sulla domanda cinese e sulle catene di fornitura globali hanno dirottato denaro dagli asset più rischiosi verso i bond, i rendimenti dei Treasury si sono contratti e la curva dei rendimenti a 10 anni/3 mesi si è invertita. Storicamente, la curva dei rendimenti è stata uno degli indicatori più affidabili per individuare una recessione e oggi suggerisce che l’economia USA non è ancora del tutto al sicuro. Allo stesso tempo, la pressione dei salari sta continuando a salire, soprattutto per quanto riguarda gli stipendi più bassi, facendo sì che l’indicatore sulla crescita salariale resti rosso. In generale, il quadro completo continua a segnare giallo, invitando alla prudenza.
In termini generali, gli indicatori dell’inflazione, crescita salariale e materie prime, rappresentano il gruppo di indicatori più negativo (Grafico 2). È utile analizzare il ruolo dell’inflazione nelle recessioni; in questi casi tornano in mente le due recessioni consecutive del 1980-82, in cui questa ha avuto un ruolo determinante, soprattutto per come ha portato un cambiamento radicale nella politica monetaria.
Le recessioni dei primi anni ’80 furono causate da un profondo aggiustamento della politica monetaria, con cui infine si concluse una battaglia contro l’inflazione durata quasi due decadi. Perdurata dal 1965 al 1982, la Grande Inflazione è probabilmente il periodo macroeconomico che maggiormente caratterizza gli Stati Uniti nella seconda metà del ventesimo secolo. In questo arco temporale fu anche coniato un nuovo termine economico: “stagflazione”, ovvero un basso tasso di crescita accompagnato da un alto tasso di inflazione.
Nel 1964, all’inizio del periodo preso in esame, l’inflazione negli USA si attestava all’1%, finendo per toccare picchi del 15%. Questa accelerazione non fu il frutto di un singolo evento occasionale, ma piuttosto un concatenarsi di eventi che crearono l’habitat naturale dell’inflazione alta.
L’epoca di crescita dell’inflazione cominciò a terminare nel 1979, quando l’allora presidente della Fed Paul Volcker annunciò un cambiamento drastico della politica monetaria. Il messaggio era semplice: la Fed avrebbe tentato di combattere l’inflazione controllando direttamente l’offerta di moneta, e non il suo costo (il tasso d’interesse). Se la Fed avesse determinato soltanto la quantità di moneta sul mercato, il prezzo di questa sarebbe stato stabilito dal mercato stesso. Questa è la ragione principale per cui l’offerta di moneta è uno degli indicatori finanziari di ClearBridge per determinare il quadro generale del rischio recessione.
Il risultato fu che i mercati fecero innalzare in maniera sostanziale i tassi d’interesse, con il tasso primario che quasi raddoppiò a ridosso delle elezioni del 1980, arrivando a toccare quota 21,5%. Inizialmente, Volcker non era disposto a sostenere qualsiasi costo economico per sconfiggere l’inflazione e, mentre l’economia entrava nella recessione del 1980, la politica della Fed iniziò a dare segni di cedimento e a spostarsi su posizioni più accomodanti. Non appena l’inflazione tornò a crescere, la Federal Reserve effettuò un nuovo restringimento, causando una seconda e più profonda recessione nel 1982. Con i primi segnali di ripresa, fu chiaro che Volcker era finalmente riuscito a domare l’inflazione.
È importante capire che l’inflazione alta non sempre è causa di recessione. La ClearBridge Recession Risk Dashboard ha identificato fasi di contrazione economica anche in presenza di deflazione, come nel 1990-91, 2001-03 e 2007-09. Come possiamo constatare, dunque, il regime dell’inflazione non è utile nel prevedere le recessioni, ma piuttosto dà un’idea della salute di un’economia quando la crescita rallenta. Diamo adesso un’occhiata più approfondita alla recessione dei primi anni ’80 e a come la nostra tabella si sia evoluta in questo periodo.
Come la ClearBridge Recession Risk Dashboard si è evoluta tra il 1980-82
Nonostante la nostra tabella proprietaria sul rischio recessione segnalasse cautela (giallo) già a maggio del ’79, il primo indizio sulla recessione del 1980 è stata l’inversione della curva dei rendimenti nel novembre del 1978. In quel trimestre, il segnale della curva precipitò da verde a rosso. Poco dopo, Chrysler, uno dei produttori di automobili più importanti d’America, fu salvata da una crisi finanziaria con un’iniezione di liquidità di 1,5 miliardi di dollari. Non sorprende che l’indice ISM New Orders, uno degli indicatori principali che traccia gli ordinativi delle aziende, mostrasse segnale giallo nel secondo trimestre del 1979. Nel terzo trimestre del 1979, gli indicatori sulle richieste di sussidi di disoccupazione e sui trasporti su gomma passarono da giallo a rosso, e nel quarto trimestre subirono la stessa sorte gli spread creditizi, le vendite al dettaglio e i margini di profitto.
I segnali negativi provenienti dai gruppi di indicatori su situazione finanziaria, inflazione, spesa dei consumatori e attività industriale hanno portato a rosso l’indicatore generale nel novembre del 1979, due mesi prima dell’inizio ufficiale della crisi datata gennaio 1980, e sarebbe rimasto rosso durante entrambe le recessioni. Complessivamente, il mercato perse 17,1% del suo valore durante la prima recessione.
I primi sintomi della recessione successiva, iniziata nel luglio del 1981, si sono manifestati già nella fase di recupero dalla prima. Con l’inflazione ancora alta dopo la prima crisi, terminata nel luglio del 1980, in agosto la Fed decise di alzare i tassi di interesse, e continuò a farlo fino alla fine dell’anno. A novembre Ronald Reagan sconfisse lo sfidante Jimmy Carter e lo S&P 500 registrò un picco a 140.5 punti. Ma gli aumenti del tasso d’interesse si rivelarono essere stati troppi e troppo frequenti. La curva dei rendimenti registrò un segno verde nel secondo trimestre del 1980, ma ritornò in rosso solo due trimestri dopo, invertendosi.
Fonte: ClearBridge Investments, affiliata Legg Mason.
Altri indicatori mostrarono segni di sollievo temporaneo. L’indice ISM New Orders ritornò in verde nel terzo trimestre del 1980, ma scivolò nuovamente a giallo il trimestre successivo e così rimase fino alla seconda recessione, che iniziò nel terzo trimestre del 1981. Allo stesso modo, la crescita dei salari aumentò nei 12 mesi tra le due recessioni, passando da rosso a verde non appena la prima recessione terminò, per poi virare su giallo alla fine del 1980 e scivolare nuovamente su rosso nel secondo trimestre del 1981.
Le due recessioni dei primi anni ’80 finirono nel novembre del 1982, dopo che l’indice S&P 500 toccò il suo minimo della seconda recessione nell’agosto 1982. Alla fine, i tassi d’interesse scesero attorno al 10%, permettendo all’economia di tornare a crescere. In questa seconda recessione, lo S&P 500 perse complessivamente il 27,1%.
Molte variabili economiche, dunque, furono responsabili delle recessioni del 1980-82. Da notare che gli indicatori della ClearBridge Recession Risk Dashboard che per primi rilevarono le crisi furono la curva dei rendimenti e la crescita dei salari, gli stessi che oggi sono in rosso. Va però evidenziato che oggi gli indicatori relativi ai consumi sono tutti verdi e incoraggianti, mentre alla fine del 1979 erano in giallo se non in rosso. Inoltre, la presenza di molteplici fattori che portarono all’iperinflazione degli anni ’70 oggi sono assenti. Un elevato livello di consumi, il settore manifatturiero in crescita e un’inflazione più benigna suggeriscono un maggior supporto all’attuale fase di espansione economica.