Ricostruire il rapporto tra economia e finanza

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Io Io, Unsplash

Gli ultimi sei mesi, con il susseguirsi di eventi tragici legati alla pandemia e al conseguente lockdown, ci hanno riproiettato con forza in un mondo dove la finanza da sola non produce alcun valore. Era già successo, nel 2008, quando la bolla dei mutui insolvibili USA aveva spazzato via solo nel primo anno 26,4mila miliardi di dollari di capitalizzazione di Borsa e 4,7 miliardi di dollari di PIL. Quella crisi era molto diversa da quella attuale, proprio perché promanava dalla finanza e dalla speculazione sul mercato immobiliare che le banche facevano concedendo i mutui a persone a elevato rischio di insolvenza. Una sorta di impalcatura senza fondamenta. 

La crisi del 2020, è stato detto da molti osservatori, è più profonda e tangibile perché impatta l’economia reale, ovvero industrie, esercizi commerciali, turismo, trasporti. 

Ricostruire il rapporto tra economia e finanza

Abbiamo avuto oltre un decennio per riflettere sui ruoli e i reciproci rapporti tra finanza ed economia: la prima dovrebbe essere subalterna e di servizio alla seconda. Non è più così: lo dimostra il fatto che sia diventata dominante e valga quattro volte l’economia reale. 

In tempi più recenti stiamo assistendo però a un cambiamento di rotta, anche da parte degli investitori istituzionali, che guidano il trend. Sempre più successo riscuotono i private market, investimenti in asset reali, dalle infrastrutture al private equity al private debt, per sostenere i piani di sviluppo delle imprese. 

Da sempre considerati investimenti rischiosi, i private market stanno attirando l’attenzione del mondo e, sdoganati dai fondi pensione (che per statuto devono puntare a investimenti prudenti, ma di lungo termine) diventano strumenti anche per il retail.

Nel nostro Paese è stato fatto un grande battage intorno ai PIR, gli arcinoti piani individuali di risparmio che devono investire per almeno il 70% del portafoglio in società italiane, con la Legge di Bilancio 2020 arricchiti di una versione “alternativa” (che contempla investimenti in asset illiquidi, ovvero, sostanzialmente nel non quotato).

Ma anche a livello europeo, uno strumento come l’Eltif, che apre al retail gli investimenti nell’economia reale, con uno strumento facile e accessibile come un fondo comune di investimento. Prima della Legge di Bilancio 2020, BorsadelCredito.it ha più volte espresso perplessità sul reale impatto di strumenti che puntavano all’economia reale sulla carta, ma di fatto poi escludevano una fetta rilevante, limitandosi al solo quotato, che in Italia, come noto, è dominato dal settore bancario assicurativo (che pesa per il 30%, contro il 14% dell’industria in un Paese a fortissima connotazione manifatturiera). I nuovi PIR “alternativi” hanno però in parte rimosso questo limite, riscuotendo molto successo tra gli investitori, in primo luogo per il loro contenuto impacting ma anche perché consentono a chi vi investe di godere dell’esenzione fiscale sui guadagni. 

Gli altri canali di accesso all’economia reale e il fattore del rendimento

Oggi le possibilità di investire sull’economia reale si sono ampliate. Dai minibond, al crowdfunding, al crowdinvesting, i canali di accesso ad asset tangibili si moltiplicano. E anche in questo caso gli investitori istituzionali stanno rotando i portafogli per includere una quota di realtà al loro interno, attratti anch’essi dall’elevato contenuto umanistico di questo genere di scelta, perché investendo si finanziano attività che contribuiscono al benessere di persone fisiche. E attratti anche dall’aspetto del rendimento: che arriva solo se si adotta un approccio paziente e se la finanza si connette all’economia, in un mondo che sarà sempre più a tassi zero. Dove cioè i bond hanno un costo e le azioni, in un contesto dove non manca la possibilità di ottenere alpha anche consistenti, rappresentano un rischio elevatissimo a causa della volatilità estrema esacerbata dall’incertezza (che aumenta con l’avvicinarsi dell’autunno).  

Al netto di queste specifiche, le prospettive sono buone. Non è un caso che la domanda di investimenti nei private market cresca. Il mercato a fine 2019, secondo l’ultimo global report di McKinsey, valeva globalmente 6,5mila miliardi di dollari (+10% sul 2018 e quasi il triplo in dieci anni), di cui 3,9 mila investiti in private equity (il 60% del totale), mille miliardi nel settore immobiliare, 800 miliardi in infrastrutture e altrettanti in private debt.

Il private debt, quello che di fatto BorsadelCredito.it fa nella pratica, secondo uno studio di Blackrock, ha conosciuto negli ultimi dieci anni un’espansione fortissima, con allocazioni di 120 miliardi nel biennio 2017-2018 e tuttavia rappresenta ancora una piccola parte del mercato globale del credito che valeva 1200 miliardi di dollari nel 2018 (Refinitiv, Leveraged Loan Monthly, Year-End 2018 Report).

Insomma, i numeri a livello globale parlano da soli. Per quanto riguarda l’Italia, servirebbe solo un’azione mirata per attrarre grandi investitori che potrebbero fare da volano per far ripartire la nostra economia.