Quo vadis?

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Il mercato della consulenza e dei prodotti di investimento si trova a fronteggiare la spinta combinata di tre fattori di grande rilievo che incideranno significativamente sul prossimo futuro degli intermediari finanziari e delle case di investimento: evoluzione normativa, evoluzione tecnologica e concorrenza.

Il passo attuale è certamente dettato dalla MiFID II che tende a cambiare i processi distributivi dei prodotti e dei servizi finanziari imponendo agli intermediari una importante modifica organizzativa; l’evoluzione tecnologica determina con chiarezza il futuro, che sarà caratterizzato non solo dalla molla del contenimento dei costi ma anche dall’innovazione dei modelli distributivi; la concorrenza costituisce il contesto di riferimento del mutamento in atto (destinato a protrarsi negli anni), favorita dalla diminuzione dei margini delle banche e dall’ingresso nel mercato di nuovi operatori che spingono efficacemente per la disintermediazione degli operatori tradizionali in un quadro generale sempre più internazionalizzato e automatizzato.

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Modelli dell'industria

La commissione Consulenza e prodotti d’investimento dell’Assiom Forex, una delle più grandi associazioni di operatori dei mercati dei capitali in Europa con più di 1.400 soci in rappresentanza di oltre 450 intermediari, ha indagato sulle tendenze evolutive dei modelli di servizio della consulenza finanziaria e della distribuzione di prodotti d’investimento in preparazione di MiFID II da parte degli intermediari italiani.

La survey, che ha raccolto le risposte di 22 intermediari con una copertura di oltre 13.000 sportelli bancari in tutta Italia, non ha la presunzione di rappresentare quantitativamente lo stato dell’arte ma di contribuire alla conoscenza dell’orientamento dell’industria e identificarne le best practise per fornire agli associati ulteriori strumenti di approfondimento e dibattito degli aspetti tecnici e delle pratiche di mercato sul tema. 

In relazione ai segmenti di mercato e alle strutture dedicate al servizio di consulenza, la survey rileva nell’86% delle banche l’utilizzo di personale specializzato per la clientela private ma, nel contempo, evidenzia una scarsa attenzione alla clientela affluent che solo nel 22% dei casi trova consulenti specializzati. I risultati confermano inoltre che l’utilizzo di consulenti non dipendenti, gli ex promotori finanziari, rimane ancora limitato per tutte le categorie di clientela.

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Sintetizzando analisi più approfondite, relativamente al servizio di consulenza sul portafoglio gli operatori di mercato tenderanno sempre più alla valutazione del portafoglio complessivo del cliente con cadenza periodica, passando dall’attuale 27,3% al quasi 50% delle banche che prevedono servizi con il pagamento di una fee esplicita.

I rispondenti non paiono interessati all’evoluzione della consulenza di base che rimane stabile nelle attese a causa di diversi fattori frenanti, quali i costi per l’evoluzione dei modelli tecnologici e organizzativi (72,7%), costi e tempi dei processi di formazione del personale (50%),  la limitata percezione da parte dei clienti della qualità del servizio erogato in rapporto ai costi sostenuti (50%) e gli impatti reputazionali/commerciali per la trasparenza dei costi imposta dalla nuova normativa. 

Come adeguarsi

Gli interventi più idonei all’adeguamento della consulenza base ai requisiti MiFID II riguardano principalmente il monitoraggio periodico o continuo di adeguatezza dei singoli strumenti finanziari detenuti dal cliente (77,3%), l’ampiezza e la diversificazione della gamma di prodotti oggetto di consulenza (68,2%) e lo sviluppo dell’analisi dei bisogni finanziari della clientela (63,6%).

La MiFID II introduce le specifiche proprie della consulenza di tipo indipendente ma il tema sembra lasciare freddi gli intermediari che nel 31,8% dei casi ritengono poco probabile l’attivazione del servizio indipendente contro il 27,3% che ne esclude l’attivazione con un giudizio di rilevanza molto alto. I propensi all’attivazione del servizio di consulenza su base indipendente sono solo il 13,6% degli intervistati. Il motivo di riluttanza nello scegliere questo modello di servizio risulta essere determinato dalla complessità derivante dalla separatezza organizzativa tra consulenza ristretta e consulenza indipendente (54,5%), dalla scarsa propensione del cliente a percepire la qualità del servizio ricevuto in funzione del suo costo (36,4%) e da minori problematiche attribuite alla rinuncia completa ai rebates  (27,3%) e alla necessità di ricorrere a forme di outsourcing del servizio (13,6%).  

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Se da una parte la tecnologia è ritenuta la chiave dominante dei servizi futuri per la clientela in tema di erogazione e organizzazione della consulenza finanziaria, dall’altra la realtà operativa vede che solo il 13,6% delle banche rispondenti hanno già attivato o hanno in essere un progetto per l’introduzione del robo advisor rivolto direttamente alla clientela o a supporto (robo for advisor) dei consulenti dedicati, mentre per la clientela private sono già attivi o in fase di allestimento servizi di robo for advisory per il 22,7% dei rispondenti che nel futuro prevedono che tali servizi automatizzati verranno probabilmente estesi a tutte le fasce di clientela.

I risultati della survey testimoniano una rinnovata attenzione al tema del change management e alla qualificazione del personale: il tema della certificazione delle conoscenze e competenze è molto sentito dalle banche rispondenti tanto che il 95,5% di esse hanno già intrapreso azioni per adeguare il processo di formazione dei consulenti, mediando tra l’esigenza di contenere i costi per mezzo dell’e-learning e l’obiettivo di innalzare la qualità della rete con formazione in chiave operativa.

In termini generali l’analisi della survey, che sotto alcuni aspetti si presenta a macchia di leopardo, lascia intendere un ritardo nella predisposizione e nell’adeguamento dei modelli di servizio alle richieste delle nuove normative. Gli operatori ritengono che le maggiori problematiche da affrontare siano di carattere organizzativo, ancor più che strategico, e considerano ancor minori le problematiche commerciali. Un’ipotesi che possiamo avanzare è che lo sforzo di adeguamento derivante dalla normativa (e dai suoi ritardi nelle specifiche applicative) rappresenti un freno all’innovazione di servizio, ma rimane il sospetto che l’industria stenti a trovare nuovi modelli di business con servizi più articolati e moderni.