Quanto e quali fondi sovrani investono in Italia?

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Economie come Russia, Cina o Emirati Arabi sono esportatrici di capitali sempre più importanti, grazie alla loro comoda posizione fiscale, i loro tassi di risparmio interni e la loro abbondante dotazione di materie prime. Nell'attuale contesto economico, questi paesi svolgono un ruolo sempre più rilevante come emittenti di investimento estero diretto nel mondo: nel 2013 le economie sviluppate hanno generato oltre il 33% dei flussi di investimento estero diretto, mentre nel 2000 hanno rappresentato solo il 12%. Alcuni di questi paesi stanno canalizzando il loro crescente potere investitore tramite fondi sovrani, le cui decisioni strategiche hanno un impatto notevole nell'economia mondiale. E' quanto emerge da uno studio condotto da Esade Business School e KPMG. Attualmente, esistono 84 fondi sovrani che operano in tutto il mondo e gestiscono un totale di 5,9 miliardi di dollari (4,7 miliardi di euro). 55 paesi  hanno già uno o più di questi fondi, e 22, in particolare le economie emergenti di Africa e America Latina ne stanno valutando il lancio a breve termine.

Questi fondi sovrani, dice il rapporto, hanno cambiato in modo significativo i loro obiettivi, aumentando la ricerca di gruppi industriali, specializzati principalmente in energia, tecnologia, telecomunicazioni, infrastrutture e immobiliare. Le maggiori operazioni del mondo nel 2013 e la prima metà del 2014 sono state due accordi da 5 milioni di dollari ciascuno: Mubadala ha firmato con la Guinea per costruire una raffineria e l'investimento di QIA in Pengerang Petroleum Integrated Complex in Malaysia.

Fondi sovrani bilaterali

Paesi come Italia, Francia o Spagna hanno firmato accordi con fondi sovrani per investire in società nazionali. Si tratta di accordi che non hanno un impatto reale sull'economia ma aprono la porta a possibili collaborazioni con la creazione di fondi bilaterali.  L'Italia utilizza il suo fondo sovrano, il Fondo Strategico italiano (FSI), con 6 miliardi di dollari in gestione per realizzare relazioni bilaterali con fondi sovrani di altri paesi: fino ad oggi con Qatar, Kuwait e Russia (oltre che con Libia e il suo Libyan Investment Autority). Nel caso del Qatar, è stato stretto un accordo a marzo 2013 con il Fondo Strategico Italiano (braccio finanziario della Cassa Depositi Prestiti) per costituire una joint venture (IQ Made in Italy) che dovrebbe investire nelle società italiane che operano nei settori del lusso, del fashion e dell'alimentare. Ognuno dei soci ha contribuito con un miliardo di euro. 

Con la Russia il FSI ha firmato un accordo bilaterale per un miliardo di euro (500 milioni ciascuno) per investire in società e progetti che favoriscano una maggiore cooperazione economica tra i due paesi. L'accordo più recente risale a luglio di quest'anno ed è stato firmato con ilfondo sovrano del Kuwait, il Kuwait Investment Authority (KIA). Si tratta di un co-investimento che ha implicato la costituzione di una nuova società (FSI Investimenti) con assets dal valore di 2,185 miliardi di euro. Tra gli attivi che il FSI ha trasferito alla nuova società troviamo le sue partecipazioni in Metroweb Italia (fibra Ottica), Kedrion Group (biofarmaceutica), Valvitalia (attrezzature) ma soprattutto la IQ Made in Italy, la joint venture con il Qatar che in questo modo viene inclusa sotto l'ombrello di FSI Investimenti. Oltre agli asset conferiti dal FSI (pari a 1,185 miliardi di euro) ogni socio si è impegnato a versare 500 milioni di euro. Il capitale della società è per il 77% proprietà di FSI mentre KIA controlla il restante 23%. Ad Abu Dhabi opera il fondo Mubadala, noto per essere entrato nell'azionariato della Ferrari. Mubadala ogni anno riceve dalle casse dell'Emirato una decina di miliardi di dollari. Ma il legame con lItalia è più stretto per un altro dei bracci finanziari dell'emirato: cioè Aabar Investments che possiede una quota di Unicredit. 

Nella maggior parte dei casi si tratta solo di impegni di investimento che non si sono ancora concretizzati in deals. Ad ogni modo l'obiettivo è chiaro ed è quello di aumentare questo tipo di operazioni in futuro. L'italia ha un tessuto limitato di imprese di dimensioni intermedie. Ci sono solo 1400 aziende che fatturano più di 200 milioni di euro mentre in Francia ce ne sono 2000 e in Germania più di 4000. Non stupisce, quindi che in Italia si concentri solo il 5%  del private equity europeo mentre la sua economia equivale al 18% del totale dell'UE. 

Maurizio Tamagnini, CEO del Fondo Strategico Italiano (FSI), In una recente intervista rilasciata al Sole 24 Ore diceva "sono fiducioso che il mercato italiano del private equity crescerà rapidamente grazie al suo enorme potenziale. Sempre più aziende di piccole e medie dimensioni, leader nei loro settori, stanno decidendo di andare fuori dal mercato locale, di aumentare la loro dimensione e di aprire il loro capitale agli investitori di private equity".