Pioneer: “La FED aumenterà i tassi a giugno e forse sarà un aumento più alto di quello che ci si aspettava”

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Michael Temple è responsabile della ricerca sul credito USA e cogestore di uno dei fondi più importanti di Pioneer Investments, il Pioneer Funds-Strategic Income. Alcune delle novità che presenta il portafoglio del fondo per affrontare quest’anno è la visione pessimista sull’evoluzione della curva dei tassi statunitensi. Infatti Temple afferma che la premessa con la quale si sta lavorando è che la Federal Reserve sorprenda negativamente il mercato aumentando i tassi nel secondo semestre: “La Fed aumenterà i tassi a giugno e forse sarà un aumento più alto di quello che ci si aspettava. Per il momento, il mercato dei futures americani sul credito sembra non stia anticipando questo aumento".

Tuttavia Temple afferma che “la FED tiene ancora molto margine di attuazione per i livelli di inflazione”. Ritiene che questo possibile aumento a metà anno “è un rischio perchè potrebbe causare una distorsione addirittura maggiore del dollaro rispetto alle valute emergenti”. Secondo i suoi calcoli, il primo incremento dei tassi di interesse dal 2008 potrebbe comportare un rialzo di 100 punti basici lungo la curva dei tassi statunitensi in accordo con i precedenti storici, visto che le posizioni corte (da 0 a 5 anni) sono le più colpite. Calcola che il bond a dieci anni, che non si vedrebbe così danneggiato, potrebbe terminare il 2015 tra il 2% e il 2,25%. La decisione che si è presa circa il posizionamento del portafoglio è consistita nell’infraponderare significativamente questi bond e optare per una selezione di fondi obbligazionari sovrani di altri Paesi.

“La visione della Fed è piu focalizzata sulla preoccupazione per il rialzo dell’inflazione che per i prezzi del petrolio”, aggiunge Temple. A questo punto sottolinea che “gli Stati Uniti si beneficeranno del crollo del prezzo del petrolio ma l'Europa ne trarrà un vantaggio maggiore, in combinazione con il QE e la debolezza dell’euro”. Ritiene che il PIL dell’Unione Europea crescerà di un 1,6% nel 2015, un aumento che definisce come “modestamente ottimista”. Per gli Stati Uniti calcola una crescita intorno al 3% per quest’anno, sostenuta dal recupero del settore immobiliare, la caduta del prezzo del petrolio, l’incipiente recupero dell’inflazione salariale e sul fatto che - nonostante questo ipotetico rialzo – i tassi si manterranno bassi per molto tempo. 

Tample avverte riguardo ad un effetto incrociato: l’Europa beneficerà della caduta del prezzo del petrolio, però i suoi investitori si dirigeranno verso il mercato statunitense, a causa del fatto che gli acquisti del debito del BCE stringeranno ancora di più i differenziali e rincareranno il debito europeo. “Si produrrà una compressione dei differenziali, anche nel debito corporate, che provocherà un appiattimento della curva. Prevediamo flussi dall’Europa agli Stati Uniti per approfittare del differenziali tra entrambi, cosa che comporterà un appiattimento nella curva dei tresauries” spiega il gestore. Infatti nel portafoglio si riflette anche il differenziale del debito con grado di investimento e high yield degli Stati Uniti (dove stanno vedendo alcune opportunità nel settore energetico) rispetto all’Europa, e si è ridotta l’esposizione ad high yield europeo.

Allarme emergente

“Se c’è un rischio nell’ambiente globale, questo verrà dagli emergenti”, spiega Temple. In Pioneer si mostrano cauti, dando priorità al debito sovrano rispetto a quello corporate e con un focus più selettivo e centrato sulla ricerca della qualità. Si sono mantenuti specialmente lontani dalle emissioni vincolate alle materie prime. “Il problema è che la maggior parte dell’indice è composto dalle emissioni delle compagnie energetiche; è una sfida trovare adesso buoni bond corporate emergenti”, dichiara il gestore. Inoltre sono posizionati corti nelle valute vincolate alle commodities come nel caso del dollaro australiano e quello canadese.

Infatti Temple è preoccupato specialmente per come può colpire e danneggiare i Paesi in via di sviluppo la caduta della domanda globale delle materie prime, insieme ad altri problemi come la mancanza di trasparenza o addirittura la corruzione. Cita come esempio, per la sua attualità, la brasiliana Petrobras: la più grande azienda del Brasile ha perso due terzi del suo valore a causa delle appropriazioni indebite e corre il rischio di default selettivo. “Ci sono molti emissori emergenti che stanno affrontando gli stessi problemi di Petrobras”, avverte il gestore. E propone una riflessione: “Il mercato è più forte rispetto agli anni 90 e per questo non ci aspettiamo una crisi come quella asiatica. Però sarebbe ingenuo non aspettarsi il fallimento potenziale di un grande emissore anche se non avrebbe un effetto sistemico”.

Il suo pronostico per i prezzi del greggio è che il barile oscillerà tra i 55 e i 65 dollari nei prossimi 12 mesi, per poi stabilizzarsi in una fascia compresa tra 65 e 75 dollari nel 2016. “I prezzi non saranno così elevati come prima per il collasso dell’offerta”, spiega. Quindi il team ha preferito centrare la sua selezione di emissioni emergenti intorno ai Paesi importatori di greggio e con surplus commerciale, come sono l’India, l’Indonesia e le Filippine. Temple si congeda con un altro avvertimento: “Molti Paesi dovranno affrontare nei prossimi tre-cinque anni problemi di eccesso di investimenti”.