Obbligazioni sì, ma solo se ad alto rendimento e bassa duration

Figliomeni
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Dopo anni in cui la liquidità immessa sui mercati dalle Banche centrali ha spinto l’obbligazionario a livelli di bolla, ora il movimento è in parte ribassista. Un’oscillazione che è il risultato del riconoscimento dell’ormai limitato spazio di manovra dei banchieri centrali dopo anni di QE. E adesso? “L’inversione del trend sembrerebbe già essere cominciata prima dell’elezione di Trump e pensiamo possa continuare, sebbene i prezzi degli ultimi giorni siano stati piuttosto forti e forse troppo in anticipo rispetto ai dati macroeconomici. Il QE ha avuto peraltro un effetto ridotto su crescita e inflazione, che ha portato economisti e politici a richiedere politiche di bilancio più espansive per stimolare l’economia”, afferma Francesco Figliomeni, portfolio manager di Decalia AM.

Continua precisando: “un approccio del genere è considerato negativo per i prezzi dei titoli a reddito fisso poiché potrebbe avere come effetto una maggiore crescita del PIL, che dovrebbe portare a un aumento dell’inflazione e un incremento dei deficit di bilancio pubblico con conseguente negativo impatto sull’indebitamento. Questo è senz’altro vero per gli Usa, dove già si stimano i potenziali effetti del “Trumponomics” su crescita e deficit (si parla di un aumento tra i 5 e 10 mila miliardi di dollari) che si vanno ad aggiungere a un’inflazione che già viaggia intorno al 2%, mentre in Europa questo switch è meno evidente poiché l’Ue non  lascia molto spazio di manovra di bilancio ai singoli Paesi membri e l’inflazione  è ancora  a  livelli molto bassi”.

In generale non molte aree del reddito fisso potranno beneficiare di un movimento sui tassi di interesse ma ci sono delle opportunità. “Innanzitutto i titoli a reddito variabile (i floaters) in dollari, avendo le cedole legate ai tassi d’interesse, approfittano dell’aumento di questi ultimi e anziché avere prezzi in discesa, in uno scenario di rialzo dei tassi, li aumentano. Le obbligazioni, poi, a bassa duration e alto rendimento (high yield) sono un’area che offre un interessante rapporto rischio/rendimento in un contesto reflazionista: le scadenze vicine infatti risentono solo parzialmente dei tassi in rialzo e una maggior crescita permette alle società di generare maggiori flussi di cassa al servizio del debito. Da evitare almeno nel breve le obbligazioni di mercati emergenti in valuta locale che soffrono di una Fed meno accomodante, di un dollaro forte e della retorica protezionista di Trump”.

Secondo gli esperti, infine, la correzione del fixed income nel 2017 potrebbe continuare. E sebbene sia evidente la differenza di politiche monetarie fra Fed e Bce, storicamente i tassi d’interesse a lungo termine sono piuttosto correlati a livello globale, “al contrario, lo stesso non si può dire per i tassi a breve termine, la cui divergenza (il differenziale fra il Treasury a 2 anni e lo Schatz è ai massimi da 17 anni) ha fatto salire il dollaro ai livelli di inizio millennio. Il dollaro secondo noi è caro a questi livelli ma se la differenza tra le politiche monetarie delle banche centrali dovesse accentuarsi potremmo rapidamente ritrovarci alla parità sul cambio euro/dollaro”, conclude l’esperto.