Nuova Via della Seta e dazi: la Cina divide politica e mercati

Diego Jimenez, Unsplash
Diego Jimenez, Unsplash

L’attenzione sui meeting e le dichiarazioni dei membri dei comitati delle maggiori Banche Centrali ha raggiunto livelli senza precedenti, fino ad arrivare ad uno studio minuzioso della terminologia utilizzata e alla traduzione di ogni segnale in mosse concrete di allocazione nel minor tempo possibile. Allargando l’orizzonte temporale il tema che risulta maggiormente indagato dagli analisti è, però, un altro: la Cina. Il ruolo del gigante asiatico, cresciuto notevolmente nell’ultima decade, assume risvolti economici e geopolitici sempre più importanti per il panorama globale, come dimostrano le reazioni provenienti sia dall’Unione Europea che dagli Stati Uniti alla decisione dell’Italia di firmare un Memorandum of Understanding con Pechino sui progetti relativi alla Nuova Via della Seta, piano infrastrutturale cinese che punta a stabilire nuove rotte commerciali tra Asia, Europa, Africa e Oceania.

“La questione dell’appoggio politico italiano alla Nuova Via della Seta”, ha affermato Derrick Sun, portfolio manager di ICBC (Industrial and Commercial Bank of China, Credit Suisse AM), in un suo recente viaggio in Italia per incontrare investitori professionali su invito di WisdomTree, società con cui l’istituto cinese ha una partnership, “può essere analizzata anche alla luce dello scontro commerciale tra Stati Uniti e Cina”. “Ritengo che un accordo tra Washington e Pechino”, prosegue Sun, “sarà concluso entro quest'anno, ma potrebbe essere rinviato al secondo trimestre: dal lato cinese, è necessario più tempo per preparare tutti i punti di discussione e per intraprendere alcune azioni per essere certi della reale volontà statunitense. Allo stesso tempo, da parte americana, Trump è più interessato alle prossime elezioni: più tardi verrà concluso un accordo, in modo che sia più vicino alla tornata elettorale, meglio sarà, perché esso potrebbe essere usato come leva con l'opinione pubblica per cercare di ottenere un secondo mandato”.

Dichiarazioni che dimostrano come l’accordo con l’Italia faccia parte di una partita ben più grande e rilevante per i mercati. Quella relativa alla guerra sui dazi in corso tra Stati Uniti e Cina e agli effetti di questa sulla crescita globale e in particolare dei mercati emergenti. “Mentre Robert Lighthizer, rappresentante americano al Commercio,”, ha spiegato Olivier De Berranger, chief investment officer di La Financière de l’Echiquier, facendo il punto sul rinvio di una decisione definitiva sulla natura delle future relazioni commerciali tra i due Stati, “si dimostrava piuttosto ottimista all'inizio della scorsa settimana, Donald Trump e il suo Segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, erano meno fiduciosi”. “Hanno confermato che sebbene i negoziati procedessero per il meglio non erano in grado di anticipare nessuna data per la loro conclusione e Steven Mnuchin ha addirittura rivelato che non ci sarà un nuovo incontro tra Donald Trump e Xi Jinping a marzo”.

Un rinvio che ha alimentato incertezza fino alla notizia di contatti telefonici diretti tra lo stesso Mnuchin e Liu He, vice primo ministro cinese, e al clima positivo manifestato da entrambi, riportato dall’agenzia di stampa Nuova Cina. Tanto è bastato a rafforzare il sentiment dei mercati circa una conclusione mite delle trattative sui dazi commerciali che porterebbe ad un rafforzamento dei flussi sui mercati emergenti, già molto positivi da inizio anno, e delle previsioni di crescita globale.

Il rally del mercato si è propagato su un possibile esito favorevole nella guerra dei dazi tra Cina e USA”, si legge nella Relazione Mensile d’Investimento di ODDO BHF Asset Management, in cui vengono sottolineate inoltre le iniziative di politica fiscale annunciate da Pechino per stabilizzare l’andamento dell’economia domestica. Le attese di ODDO BHF Asset Management sono stabili per un PIL cinese al +6,2% nel 2019, in grado quindi di supportare l’area emerging markets, per cui, si legge nella ricerca dell’asset manager, “il raggiungimento di un accordo farebbe da catalizzatore per una riallocazione ancora più aggressiva da parte degli investitori”. 

Il mancato raggiungimento di un punto di incontro tra Stati Uniti e Cina che ponga fine all'attuale fase di scontro sta con il tempo scomparendo dagli scenari degli analisti. Due sono, secondo Derrick Sun, portfolio manager di ICBC, le ragioni fondamentali che risultano sempre più evidenti. “Prima di tutto”, afferma, “sia la Cina che gli Stati Uniti trarrebbero beneficio da una soluzione positiva perché, in caso di una vera e propria guerra commerciale, entrambi i paesi ne subirebbero le conseguenze; il secondo fattore è che con l’avvicinarsi delle elezioni, risulta evidente come Trump non sia riuscito a sfruttare la migliore opportunità di popolarità che gli si sia presentata, ossia la conclusione di un accordo con la Corea del Nord. Non può quindi permettersi di non raggiungerne uno con la Cina, pena essere visto come un Presidente perdente”. Una dinamica, dunque, che lega a doppio filo geopolitica e andamenti dei mercati e che sebbene possa trovare una soluzione di passaggio nel medio periodo è destinata a ripresentarsi su questioni molto più complesse da affrontare. Una su tutte riguarda la proprietà intellettuale.