Necessità di un approccio attivo all’universo delle convertibili

Lee Manzi, gestore del Jupiter Global Convertible, Jupite AM
Lee Manzi, gestore del Jupiter Global Convertible, Jupite AM

“Nella valutazione di un investimento in convertibili dobbiamo partire dal presupposto che si tratta di una asset class che permette di accedere a rendimenti simili a quelli azionari, ma con una volatilità considerevolmente inferiore. Il fine generale è dunque quello di consegnare all’investitore il rendimento aggiustato per il rischio, reso possibile dalle caratteristiche specifiche della classe di attivo”. Fantastico è l’aggettivo con cui Lee Manzi, gestore del fondo Jupiter Global Convertible di Jupiter AM, descrive il comparto oggetto della strategia che ha ottenuto il rating Consistente Funds People per il 2019.

Indici e distorsioni

“Se prendiamo in considerazione l’indice di riferimento”, spiega Manzi, “possiamo identificare il principale problema in cui si può andare incontro tramite un esposizione indifferenziata alle convertibili”. “Il benchmark può presentare, a seconda dei periodi e delle campagne di emissioni, delle distorsioni in termini di esposizione a Paesi e settori”, aggiunge. Relativamente ai tempi più recenti, quello che fa notare il gestore del Jupiter Global Convertible Fund è un aumento degli emittenti appartenenti al settore dei servizi tecnologici. Tutto ciò, viste le dimensioni relative dell’universo di investimento, impone, secondo Manzi, una gestione attiva, focalizzata sulla valutazione di ogni singola emissione in termini, in primis, di ritorni aggiustati per il rischio.

Differenze specifiche

L’attuale differenza maggiore rispetto al benchmark riscontrabile nel fondo Jupiter Global Convertible è costituita dall’esposizione agli Stati Uniti, pari a circa il 30% nello strumento gestito da Manzi, mentre arriva a superare il 40% nell’indice. “La ragione per cui siamo sottopesati non è di tipo top-down”, specifica il fund manager, “ma nasce dall’analisi societaria che mette in luce come molte delle convertibili recentemente emesse siano definibili come più speculative rispetto a quelle da noi ricercate”. Dal lato opposto il Jupiter Global Convertible Fund risulta relativamente sovrappesato in Asia, escluso Giappone. “Ci concentriamo in questo momento”, afferma, “in particolare sul mercato domestico cinese con un’esposizione pari a circa l’8%, per effetto, in particolare, della capacità dimostrata dalla PBoC di agire a stimolo dell’economia in maniera rapida sia attraverso la leva monetaria che quella fiscale”.

Barbell approach

In un mondo ideale, ogni titolo presente in portafoglio dovrebbe essere una obbligazione convertibile bilanciata, con un delta rispetto all’equity compreso tra il 30% e il 50%, ma dal momento che l’universo di investimento è limitato, l’attuazione di un approccio Barbell risulta necessaria in modo tale da ottenere il risultato ricercato in termini di ritorni aggiustati per il rischio sul portafoglio nel suo complesso”, fa notare Manzi. Al centrale momento di selezione delle emissioni in ottica di ottenimento delle caratteristiche individuate come core nell’allocazione viene poi applicato un macro overlay che pesa per circa il 30% sulla calibrazione finale dell’asset allocation. Il tutto nello spirito di autonomia dei singoli team di gestione tipico di Jupiter AM, asset manager caratterizzato dall’assenza di un comitato investimenti centrale. “Questo ci permette”, conclude il gestore del fondo Jupiter Global Convertible, “di combinare la scala derivante dall’estesa ricerca messa in atto da analisti e gestori presenti nella nostra struttura in modo estremamente flessibile, applicando ogni input nel modo che riteniamo più consono alla formazione del nostro portafoglio, senza alcuna rigida imposizione proveniente dall’alto”.