Azionario e obbligazionario: ecco come muoversi secondo UBP

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Dopo ormai due anni di forte crescita, l’economia globale nel 2019 comincerà a rallentare. Nel corso dell’anno, infatti, la crescita dovrebbe attestarsi sul 3,5%, quindi al di sotto del 3,7% previsto dal FMI.

Si prevede che tutti gli Stati vadano sempre più verso una crescita meno sincronizzata. Diversi fattori alimenteranno le differenze di ritmo tra i Paesi, basti pensare all’inasprirsi dei rischi politici, alla forza relativa della loro domanda interna, ma anche al deterioramento dei rapporti commerciali internazionali e alla riduzione della liquidità sul mercato.

Ma quale sarà il futuro del mercato azionario e obbligazionario?

Azionario: Dalla fine della crisi dell’Europa del 2013, le azioni statunitensi hanno sovraperformato quelle di altre importanti aree geografiche del mondo in valuta locale. “Ci attendiamo che nel 2019 questa fase di «eccezionalismo americano» cominci ad attenuarsi”, sostengono da UBP. È un dato di fatto che l’espansione dei P/E negli Stati Uniti abbia fornito un contributo sostanziale a tutte le outperformance delle azioni americane rispetto a quelle europee e giapponesi. Un valido motivo alla base della volontà degli investitori di pagare di più per le azioni statunitensi è rappresentato dalla forte presenza del settore tecnologico nei listini. “Tuttavia, crediamo che il forte riapprezzamento dei P/E delle società tecnologiche su scala globale, in atto sin dal 2013, stia per concludersi”. L’ultimo periodo di netta outperformance dell’Europa rispetto agli USA (dal 2003 al 2007) ha coinciso con una fase di notevole underperformance del tecnologico rispetto ai più ampi mercati azionari globali. Essendo prevista una perdita di momentum del settore tecnologico, pertanto le azioni europee dovrebbero recuperare terreno nei confronti di quelle statunitensi.

Obbligazionario: Il 2018 è stato un anno in cui la crescita è stata forte, gli utili solidi, ma le prestazioni non hanno entusiasmato; i mercati sono stati guidati da timori e fattori tecnici. Il 2019 non vedrà ancora la fine del ciclo economico, ma rischi e incertezze permangono e la volatilità dovrebbe rimanere più elevata. Inoltre, la Fed procederà con il suo rialzo dei tassi, ma solo se si protrarrà anche la crescita. Per ora il livello di rischio di credito è complessivamente basso. “Guardiamo con grande attenzione agli strumenti di credito liquidi (CDS) come core holding sia per il loro migliore comportamento in caso cali del mercato sia per le loro valutazioni interessanti rispetto alle obbligazioni. Infine, aggiungeremo gradualmente duration a partire da livelli bassi”.

Inflazione: “Crediamo che l’anno prossimo si stabilizzerà tra il 2 e il 2,5% negli Stati Uniti e sul 2% in Europa, sempre che non subentrino nuovi shock sulle divise o sulle materie prime. Nei Paesi emergenti, l’inflazione dovrebbe risalire meccanicamente dove le valute hanno perso parecchio terreno nel 2018, per poi assestarsi una volta che le politiche economiche più restrittive terranno a bada la domanda”.