Le polizze vita e i rischi che non ti aspetti

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Commento a cura di Roberto Russo, amministratore delegato di Assiteca SIM.
 
Il risparmio gestito in Italia ha recentemente superato la soglia dei 2.000 miliardi di euro, una cifra pari al 130% circa del PIL; questo dato è destinato a crescere, tanto da stimare che a fine 2020 sarà raggiunto il tetto dei 2.500 miliardi di euro. La raccolta è attualmente suddivisa in parti uguali tra due macro aree: le gestioni di portafogli individuali e le gestioni collettive (fondi e altri prodotti).

Esiste un prodotto finanziario di matrice assicurativa che, per certi versi, è una forma di ibrido in quanto è identificato come una gestione individuale il cui portafoglio è investito in strumenti collettivi di risparmio (fondi). Parliamo della polizza vita, un contratto con il quale una compagnia assicurativa si impegna, dietro la corresponsione di un premio, a liquidare al beneficiario designato un capitale in un’unica soluzione o attraverso una rendita in seguito a un accadimento relativo alla vita dell’assicurato. Le polizze prevedono, a seconda dei casi, la liquidazione del capitale al beneficiario in caso di morte dell’assicurato o in caso di vita dello stesso; qualora alla scadenza del contratto l’assicurato sia in vita, il capitale previsto può essere versato da parte della compagnia assicurativa in un’unica soluzione o sotto forma di rendita vitalizia.

I soggetti giuridici che partecipano alla strutturazione e distribuzione di una polizza vita sono la compagnia assicurativa, il collocatore (intermediario bancario autorizzato o broker assicurativo), il gestore del patrimonio conferito (Banca, SGR, SIM) e la banca depositaria presso la quale sono versati i premi; è prevista infine la facoltà di contraenza indiretta per il tramite di una società fiduciaria. La logica della polizza vita, dunque, è quella di fornire al cliente una “scatola assicurativa” gestita da un operatore professionale che alla scadenza (o all’avverarsi dell’evento morte) restituisca il capitale maggiorato dei rendimenti ottenuti attraverso l’attività di gestione.

Questo tipo di prodotto ha riscosso un notevole successo all’interno del mondo del risparmio gestito, tanto che la sua raccolta ha superato la soglia di 100 miliardi di euro annui. I motivi di tale crescita sono dettati principalmente dal fatto che le polizze offrono un valore aggiunto rispetto alle tipiche forme di risparmio gestito: il patrimonio sotto polizza è impignorabile e insequestrabile (salvo revocatoria), è prevista l’indicazione di soggetti beneficiari anche al di fuori dall’asse ereditario e, sotto il profilo fiscale, è possibile effettuare la compensazione tra minusvalenze e plusvalenze sino all’estinzione del contratto e differire il pagamento della tassazione sulle plusvalenze maturate al momento del riscatto; infine, in caso di decesso dell’assicurato, gli eredi beneficiano del regime di esenzione totale dell’imposta sulle successioni.

Molto spesso i vantaggi appena descritti distolgono l’attenzione dei sottoscrittori dai costi sottostanti tale prodotto, ovvero dai criteri di remunerazione applicati dai soggetti giuridici sopra elencati. Il gestore di una polizza vita percepisce una commissione annua fissa per l’attività di selezione degli investimenti (l’1% annuo su una gestione bilanciata sarebbe un prezzo congruo) e, ove previsto, un premio di performance qualora i risultati oltrepassino soglie positive di rendimento prestabilite; il costo complessivo degli altri soggetti (costo di strutturazione della compagnia, costo di collocamento del distributore e servizio di custodia titoli della banca depositaria) dovrebbe in ne aggirarsi intorno allo 0,6% annuo dei premi conferiti.

Purtroppo, sempre più di frequente si verificano casi di polizze vita con costi (in gran parte occulti) fino al 5% su base annua, suddivisi tra commissioni di apertura del contratto (in media l’1%) e commissioni ricorrenti di sottoscrizione, gestione, riscatto e performance relative ai fondi selezionati all’interno del portafoglio (talvolta si arriva anche al 4% annuo). Altra pessima abitudine di alcune compagnie assicurative è quella di prevedere una penale molto onerosa per il contraente in caso di riscatto anticipato della polizza; recentemente ho esaminato un contratto che imponeva una penale del 6% su riscatti sia parziali che totali nei primi sei anni di vita del prodotto.

Ecco che in questi casi tutti i vantaggi sopra elencati svaniscono in un istante e gli ignari sottoscrittori si trovano vittime di una trappola che, contrariamente alla natura della polizza, determina addirittura l’emersione di perdite in conto capitale alla scadenza del contratto. Per evitare gli inconvenienti delineati è opportuno che i risparmiatori leggano attentamente il contratto proposto dalla compagnia assicurativa prima della sottoscrizione dello stesso e che, in particolare, controllino il cosiddetto Total Expense Ratio (TER); questo indicatore esprime, in percentuale e su base annua, il totale dei costi (palesi e occulti) sottostanti l’insieme dei prodotti finanziari inseriti all’interno del portafoglio gestito.

La causa di questi meccanismi perversi delle polizze vita è riconducibile all’impostazione miope del sistema del risparmio gestito in Italia, con le reti di vendita di banche e assicurazioni focalizzate prevalentemente sul collocamento e la distribuzione (e non sulla qualità) di prodotti finanziari, in quanto la principale forma di remunerazione dei consulenti finanziari è la retrocessione sulle commissioni di gestione, collocamento e distribuzione dei fondi.

Va infine evidenziato che la normativa MiFID II, in vigore dal 3 gennaio 2018, imporrà a tutti i player dell’industria del risparmio gestito maggiori oneri di trasparenza; in sostanza la rendicontazione dovrà essere molto più accurata e sarà obbligatorio presentare ai clienti un prospetto preventivo e consuntivo delle spese. Tale meccanismo di esplicitazione dei costi aiuterà i risparmiatori a comprendere con maggior chiarezza il profilo di rischio/rendimento sottostante i propri investimenti e si tradurrà inevitabilmente in una riduzione generale delle spese in capo ai sottoscrittori di prodotti finanziari.

Dal 2018, dunque, le polizze vita dovrebbero perdere molti di quei tratti di opacità che ne hanno spesso alterato la natura di prodotti assicurativi rendendole di fatto strumenti finanziari inutilmente costosi, poco redditizi e vantaggiosi solo per chi li propone. Per averne la certezza, ne riparleremo a un anno dall’entrata in vigore della MiFID II.