Le nuove frontiere dell’asset allocation

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Anna Maria D'Arcangelis e Stefano Caprioli

Contributo a cura di Anna Maria D'Arcangelis, Professore Associato presso la Facoltà di Economia dell'Università degli Studi della Tuscia (VT) e membro del Comitato Scientifico di EFPA Italia, e Stefano Caprioli, DystanciaLab - Associazione Culturale per un Risparmio Consapevole. Tratto dalla rivista numero 29 Funds People - sezione Risk Management.

Nell’asset allocation, la diversificazione rappresenta uno dei principi chiave per la best practice nella costruzione di un portafoglio finanziario, nonostante essa non sempre sia ben compresa dagli investitori. Goetzmann and Kumar (2008), ad esempio, osservano come spesso venga dato scarso peso al concetto di correlazione, e numerose prove empiriche nella letteratura accademica rivelano una concentrazione eccessiva dei portafogli individuali e un’esposizione eccessiva ai mercati domestici e sull’azionario. Inoltre, è noto come le tecniche di ottimizzazione restituiscano spesso dei risultati non ottimali out of sample’, a causa dell’impatto che piccoli errori di stima nei rendimenti attesi possono avere sul risultato finale. La conseguenza è che portafogli scaturiti da approcci naïve o elaborati senza l’ausilio della modellistica possono facilmente risultare più performanti ex post rispetto ai modelli costruiti con tecniche quantitative. 

Recentemente, la letteratura accademica e i pratictioner hanno proposto approcci di asset allocation dipendenti unicamente dal rischio e non dai rendimenti attesi: tecniche di risk budgeting, approcci minimum variance e modelli di equal risk contribution, meglio noti come ‘risk parity’. Lopez de Prado (2016), tuttavia, dimostra che il diversification benefit può essere annullato da problematiche legate all’inversione della matrice di covarianza, pur in assenza di errori di stima. L’autore propone, quindi, una tecnica innovativa denominata ‘Hierarchical Risk Parity’ (HRP), basata su processi di complex networks e machine learning. Essa prescinde dalle problematiche tecniche legate alle covarianze e fornisce una metodologia di associazione dei dati che la sola disponibilità delle correlazioni rende ardua. 

A titolo esemplificativo, si propone l’analisi di un campione di indici settoriali europei Euro Stoxx: Food & Beverage, Chemicals, Utilities, Banks, Real Estate, Technology, Auto, Insurance, Health Care, Oil & Gas, Financials, Telecomunications, Media, Industrials, Costructions, Basic Resources, Personal And Household Goods, Retail, Travel and Leisure. A partire da dati settimanali, sono state calcolate le matrici di correlazione su una finestra temporale di sei mesi per tre periodi (agosto 2018 – febbraio 2019; settembre 2018 – marzo 2019; ottobre 2018 – aprile 2019). Si tratta di matrici di 192 = 361 elementi. Pur in presenza di un numero ridotto di asset, non è difficile immaginare quanto arduo sia individuare legami tra i 19 settori, utili per costruire un portafoglio efficace. L’analisi si fa ulteriormente complessa quando gli asset crescono di numero, e un metodo di associazione tra le variabili diventa cruciale. 

Tramite la cluster analysis applicata alla matrice di correlazione, possiamo raggruppare i dati in categorie omogenee in base a un criterio di similarità. Nel caso in esame, tramite un algoritmo di clustering (il ‘K-means’), si perviene alla associazione dei settori in due cluster con volatilità diversa: il primo più difensivo (volatilità 15,47%) e il secondo più aggressivo (volatilità 20,35%). I dati per i tre periodi di analisi sono presentati in tabella. L’approccio rolling qui utilizzato coglie le dinamiche di posizionamento nei cluster e di pervenire a soluzioni di allocazione aggiornate. Dalla tabella, infatti, si nota come non tutte le allocazioni nei cluster siano stabili nei semestri e come settori associabili qualitativamente possano essere allocati in cluster diversi. Una volta associati gli asset ai cluster, ad ognuno di essi viene attribuito un peso tramite un modello naïve risk parity. I singoli cluster, a questo punto, possono essere interpretati come asset, il cui peso va nuovamente determinato rispetto al portafoglio complessivo. Il peso finale del singolo titolo è dato dal prodotto del peso che esso assume nel cluster di riferimento e del peso di quest’ultimo nel portafoglio.  

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Nonostante sia privo di vincoli sui rendimenti attesi, il modello HRP presenta comunque una serie di vantaggi: non dipendendo dall’inversione della matrice di covarianze, esso può essere agevolmente manipolato tramite l’aggiunta di nuovi vincoli o la modifica dell’algoritmo di clustering. Allo stesso tempo, l’assenza di un ottimizzatore potrebbe generare portafogli non necessariamente ottimali in termini di risk diversification. Sotto un profilo rischio-rendimento, invece, è comunque possibile ottenere combinazioni efficienti.