Le famiglie italiane sono ancora troppo esposte al rischio di bail-in?

Fabrizio Moge
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Analisi a cura di Fabrizio Monge, consulente finanziario di Consultinvest Investimenti Sim.

Nel corso degli ultimi mesi è finita sotto i riflettori la triste vicenda delle banche venete, dei drammi famigliari collegati al fallimento e del costo sociale (e fiscale) del salvataggio degli obbligazionisti senior. Sì, perché fino a due mesi fa eravamo tutti convinti che fossero entrate in vigore le regole del cosiddetto bail in, ovvero il salvataggio interno, fino a quando il governo Italiano non ha dovuto emanare un decreto ad hoc per caricare sui contribuenti il salvataggio pubblico degli istituti bancari in difficoltà. Ancora una volta pagheremo tutti.

Per chi ancora non avesse dimestichezza con il concetto del bail-in ricordiamo molto semplicemente che le nuove regole prevedono che le banche in difficoltà debbano essere sanate dall’interno; procedendo prima all’azzeramento degli asset più rischiosi (il capitale azionario) e via di seguito quelli via via più garantiti passando per i bond subordinati fino eventualmente alle obbligazioni senior e ai conti correnti che eccedono i 100.000,00 euro. Così non è stato e dato che in economia non esistono pasti gratis, il salvataggio degli obbligazionisti senior e dei correntisti è stato ancora una volta caricato sulle spalle dei contribuenti. In una nota rilasciata al quotidiano Il Foglio il ministro Padoan ha motivato l’intervento con la necessità di evitare le conseguenze sociali disastrose che l’applicazione puntuale della regola comunitaria avrebbe causato e con l’impatto gravissimo sulle famiglie e sulle imprese. In questo contesto l’aspetto più preoccupante, dal mio punto di vista di consulente finanziario, è legato al comportamento delle famiglie italiane in tema di risparmi.

Il concetto di diversificazione dei rischi è un tema talmente battuto che mi pare addirittura imbarazzante scriverne ancora nel 2017, per di più su un giornale specializzato. Purtroppo la vicenda delle banche venete ci ha riportati con i piedi per terra ed ha mostrato quanto questo tema, ripetuto fino a divenire noioso, non sia in realtà stato recepito dalle famiglie Italiane nelle loro scelte di investimento. Consideriamo peraltro che non stiamo parlando del fallimento di una banca di dimensioni tali da far presagire una crisi sistemica. Veneto Banca non è Lehman Brothers.

E allora per quale motivo sono stati utilizzati gli aiuti di Stato per le banche venete? Il ministro Padoan spiega che ha ritenuto di dover intervenire perché ci sono ancora famiglie che detenevano una porzione importante della loro disponibilità economica su obbligazioni di quelle banche. Il problema non si sarebbe nemmeno posto, o almeno non in questi termini, se i risparmiatori avessero adottato le cautele minime necessarie per proteggere il proprio patrimonio. In tal caso nessun risparmiatore avrebbe detenuto obbligazioni o azioni di un singolo istituto per un peso maggiore del 5% delle proprie disponibilità. Un antidoto al rischio emittente banale, noioso, ma efficace. In merito alla vicenda mi sono preso la briga di scrivere una lettera aperta al ministro Padoan per sottolineare come l’impatto di questa crisi bancaria dipenda da una carenza di cultura finanziaria di base e per esortarlo ad uscire allo scoperto e dire chiaramente che la carenza di diversificazione comporta rischi insostenibili per le famiglie e una debolezza strutturale di tutto il sistema Paese.

Da una analisi recente su dati della Banca Centrale Europea risulta infatti che i portafogli degli Italiani sono decisamente più esposti al rischio bail-in rispetto agli altri Paesi europei.

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Perché esiste il problema?

Dopo la pubblicazione della mia lettera mi sono giunte svariate considerazioni, che voglio condividere perché particolarmente interessanti e significative. Intanto numerosi risparmiatori sostengono di avere acquistato le obbligazioni delle banche in questione perché rassicurati dagli operatori di sportello sulla solidità dell’istituto.

A) Una delle leve maggiormente utilizzate è stato l’aspetto territoriale: la banca opera sul territorio ed investe nell’economia reale della zona, quindi è solida. Un esperto di finanza comportamentale chiamerebbe questo errore home bias ovvero un errore psicologico che porta a ritenere maggiormente affidabili le cose più vicine a noi, quelle che riteniamo di conoscere meglio. Non occorre essere un profeta per capire che non funziona così. Purtroppo il fatto che la sede della banca si trovi a pochi metri da casa nostra non significa che sia immune da dissesti finanziari, perciò la regola della diversificazione del rischio emittente va adottata anche se si tratta di una banca locale.

B) Un’altra leva che ha spinto e spinge tuttora molti risparmiatori ad acquistare la singola obbligazione bancaria è l’illusione del rendimento garantito. In pratica il fatto di acquistare un titolo con una scadenza precisa, una banca garante e un tasso predefinito di rendimento porta erroneamente a ritenere lo strumento più sicuro (rispetto ad esempio ad un fondo o a un etf che ha in pancia lo stesso tipo di titoli ma con maggiore diversificazione e quindi minor rischio a parità di altre condizioni). Abbiamo detto più volte che le garanzie sono degli obblighi giuridici e valgono (solo) finché il debitore è solvibile. Dato che, in prima battuta, pochi di noi sono esperti nel leggere un bilancio e, in seconda battuta, capita che i bilanci rispecchino solo una parte della realtà, conviene essere creditori di molti istituti, spezzettando il rischio. Come visto in precedenza non occorre lavorare con più banche, né essere milionari, per diversificare; intanto perché presso la propria banca si possono tranquillamente acquistare anche obbligazioni di altri istituti e poi perché è sufficiente acquistare un fondo ben gestito o un etf per ottenere facilmente una diversificazione estremamente efficiente con poche migliaia di euro.

C) C’è poi un’altra motivazione, che andrebbe analizzata caso per caso. Sono le situazioni di quei risparmiatori che hanno sottoscritto azioni o obbligazioni della banca di fiducia (rivelatasi poi in difficoltà) per ottenere credito. In alcuni casi i risparmiatori hanno lamentato di avere addirittura ottenuto un mutuo o un prestito per importi superiori a quelli necessari, con l’accordo di reinvestire l’eccedenza secondo le necessità (della banca). Un precedente significativo è costituito dall’ordinanza del 29 aprile 2016 emessa in procedimento cautelare iscritto al n. 10396/2015 r.g dal Tribunale di Venezia. Il giudice ha vietato alla banca il recupero di un prestito di oltre 9 milioni di euro in quanto nullo poiché violativo in particolare dell’art. 2358 del codice civile - la società non può direttamente o indirettamente accordare prestiti né fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni-. In queste ultime fattispecie il consiglio è di rivolgersi ad un legale per analizzare se sussistano i presupposti per procedere in giudizio.