La tesi del bull market secolare

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Quando a marzo 2009 le borse avviarono uno spettacolare e duraturo bull market, in pochi crederono alla prospettiva di una definitiva inversione di tendenza. Si veniva da un bear market devastante, e non era così diffusa la convinzione che le banche centrali sarebbero state in grado di mutare il drammatico corso degli eventi. Eppure i segnali erano tali e tanti, che sarebbe stato sciocco non cambiare atteggiamento verso il mercato azionario.

Sono passati quasi cinque anni e mezzo e, al di là di considerazioni di breve-medio periodo, non si può negare come nel lungo-lunghissimo periodo, la prospettiva del mercato sia incontestabilmente incoraggiante.

 

 

Questo in alto è il tasso di variazione a 12 anni dello S&P500. Come si può notare nel 2011 il dato è scivolato in territorio negativo. Dal Dopoguerra ad oggi è la terza volta che ciò succede: un ritorno negativo, su base dodecennale, è stato sperimentato nel 1948, e nel 1974-77.

In ambo i casi, da lì partirono irresistibili bull market durati diversi anni. In un caso il tasso di variazione di Wall Street a 12 anni si spinse fino al 333%; in un alto schizzò fino al 510%.

A fronte di queste performance, dove si colloca il rialzo degli ultimi cinque anni e mezzo? il dato si attesta al +120%. Una performance lodevole, ma grama in confronto a quelle passate.

Il che confermerebbe come di margini di crescita, dopo la fuoriuscita dal bear market 2000-2011 (12 anni, appunto) ce ne siano ancora parecchi.
Ciò naturalmente non esclude in linea di principio ribassi di mercato. Ma parlare di bolla, oggi, con un mercato che si è “limitato” a poco più che raddoppiare di valore nell’arco di dodici anni, è evidentemente fuori luogo. Più appropriato concludere che la borsa americana ha raggiunto nel 2009-2011 un minimo dal quale è partito un nuovo bull market secolare.