La politica conta, eccome, per gli investitori

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Le elezioni che hanno da poco avuto luogo qui nel Regno Unito hanno affascinato. In questa fase a molti partecipanti di mercato viene chiesto di discutere le eventuali conseguenze dei risultati per gli investitori, o magari sono loro stessi a sentire il bisogno di dire la propria. Il più delle volte si tratta di previsioni di breve termine: “L’azionario trarrà vantaggio da una vittoria dei Conservatori”, “La sterlina beneficerà di un aumento di certezze”, “gli investitori restano in attesa di assistere alle conseguenze del risultato”. Osservazioni e regole generali del genere sono spesso parzialmente valide. Tuttavia, spesso non prendono in considerazione le ragioni reali per cui la politica conta per gli investitori, ragioni divenute evidenti durante le ultime elezioni britanniche e che dominano il dibatto in Europa e oltre.

La verità è che la politica non può essere ignorata, non perché durante le elezioni emerge un’ “incertezza maggiore”, ma perché il modo in cui la società è gestita determina in maniera significativa i rendimenti degli asset, e per lunghi periodi. Nel descrivere i benefici dell’investimento nel segmento azionario, buona parte delle persone si riferisce alla partecipazione alla crescita. Tuttavia, in maniera più specifica, i rendimenti azionari sono determinati dalla fetta di questa crescita che va alle imprese come profitto. In molti Paesi sviluppati la quota destinata alle imprese è cresciuta negli ultimi decenni. Il grafico 1 mostra gli Stati Uniti (Paese per il quale abbiamo a disposizione i dati migliori) a partire dal 1980.

Grafico 1: Le imprese captano più crescita come profitto

Ma non è sempre stato così. Anche se oggi in molti vedono gli Stati Uniti come “l’altare supremo” del capitalismo, negli anni settanta e agli inizi degli anni ottanta la quota di crescita attribuita alle compagnie era molto più bassa.

Grafico 2: Regimi diversi

Le ragioni di questo cambiamento sono ampiamente discusse, e spesso le preferenze ideologiche rendono il dibattito ulteriormente acceso. Un’economia globalizzata più efficiente, la deregolamentazione interna, e la desindacalizzazione sembrano tutte aver giocato un ruolo importante. Tutti questi fattori hanno una caratteristica in comune: il punto fino al quale le imprese sono state liberalizzate per generare profitti. Non si tratta solo della vittoria del capitale a “scapito” della forza lavoro, ma include anche un cambiamento dell’approccio alla corporate governance, la generazione di profitti per gli azionisti piuttosto che per i dirigenti o i loro amici. Il grafico di seguito mostra la performance del mercato azionario statunitense rispetto al PIL tra 1960 e 1980, tra 1980 e 2000. Mentre il PIL è cresciuto quasi nella stessa misura in entrambi i periodi di differenziali di rendimento per gli azionisti sono enormi.

Grafico 3: "Partecipazione alla crescita del PIL?"

 

Questo mutamento sociale non è limitato al mondo occidentale. In molte economie asiatiche la crisi di fine anni novanta ha determinato cambiamenti sostanziali nell’organizzazione del panorama societario di diversi Paesi. Prevedibilmente, questi cambiamenti hanno in particolar modo interessato riforme del settore finanziario ma, più in generale, c’è stato un aumento della competitività e un miglioramento della corporate governance, oltre che una continua integrazione con il resto del mondo. Il grafico di seguito mostra l’impatto di questo cambiamento di regime in Corea. Prima della crisi, i profitti societari non erano riusciti a mantenere il passo con il PIL coreano per periodi estesi, fino all’enorme divergenza del nuovo millennio, seguita alla crisi asiatica. 

Grafico 4: Cambio di regime in Corea

C’è in atto una serie di forze complesse, le oscillazioni valutarie avranno indubbiamente giocato un ruolo, ma associate tali sviluppi politici e sociali con valutazioni fortemente allettanti, determinate dalla crisi asiatica, e l’impatto sui rendimenti degli investimenti diventa eloquente. Il grafico di seguito mostra la performance del mercato azionario coreano rispetto a quella del Giappone.

Grafico 5: Corea a confronto con Giappone

I confronti tra Paesi possono essere molto fuorvianti e dovrebbero essere sempre presi con le pinze. Il Giappone differisce in termini di demografie, per un livello inferiore di crescita nell’arco del periodo, e per il fatto che si trattava già di un regime di capitale meno rigido. Tuttavia, nel caso del Giappone, i gestori azionari a livello globale devono da tempo fare i conti con l’incapacità del settore societario di generare profitti per gli azionisti. Un semplice sguardo ai profitti e al PIL sembra confermarlo(si veda grafico 6, si noti la differenza di portata).

Grafico 6: Cambiamento di regime del Giappone?

È interessante notare che, nell’ambito della cosiddetta “Abenomics”, ci sono segnali di sviluppi interessanti, sia a livello di riforme strutturali che di comportamento in evoluzione, che suggeriscono che il settore societario stia divenendo più efficace nell’apportare profitti. Tuttavia, resta da vedere quale sarà l’impatto a lungo termine.

I tipi di cambiamento a livello di struttura politica e sociale che ho discusso finora hanno luogo nel corso di diversi anni e in maniere poco ovvie. Non sono facilmente identificabili nei rapporti finanziari o neanche guardando alle politiche di governo. Ma ciò non vuol dire che andrebbero ignorati. La crescente porzione di crescita che le compagnie possono ottenere come profitto, e il corrispondente declino di quella attribuita alla manodopera, rappresentano da diversi anni un enorme motivo di tensione sociale. Questa situazione è stata alla base di quasi ogni aspetto del dibattito delle elezioni nel Regno Unito, della notorietà del “Capital” di Piketty, dell’emergere del movimento “Occupy” e sta dominando l’agenda politica a livello globale. A prescindere dalle opinioni politiche di ciascuno di noi, il modo in cui vengono risolte queste tensioni è cruciale per gli investitori.

L’equilibrio dell’ opinione a favore dei mercati liberi può essere considerato come una sorta di pendolo che sta oscillando in maniera significativa su scala mondiale. Il crescente malessere sociale circa la capacità delle imprese di accrescere i propri profitti, l’enfasi posta dai movimenti anti-austerità sulla tassazione delle imprese, l’ascesa del nazionalismo e del protezionismo in economie quali la Russia, e gli approcci più distributivi e anti-business in America del Sud sono esempi di fattori che potrebbero far variare  l’oscillazione di questo pendolo. Ciò segnerebbe un cambiamento di direzione rispetto agli ultimi 30 anni. Tuttavia, dobbiamo ricordarci che la legge del minimo sforzo ha portato eventualmente a una maggiore, e non minore, libertà di mercato.

In un recente sondaggio condotto dal Pew Research Center, quando agli intervistati è stato chiesto se fossero d’accordo con l’affermazione seguente: “Un’economia di libero mercato gioca a favore di più individui, anche se alcune persone sono ricche e altre povere”, le risposte positive sono state in gran parte riscontrate in alcune economie emergenti e asiatiche.

Grafico 7: Comportamenti globali

I sondaggi sono un mero aspetto della questione. Ciò che conta è osservare i comportamenti di imprese e società nei momenti di stress. Agiscono nell’interesse degli azionisti o sono più populiste? La valutazione di questi fattori è spesso trascurata in favore della confortante certezza dell’analisi dei rendiconti finanziari, ma la prima rappresenta invece un elemento più critico per le performance di medio termine.