La metamorfosi cinese

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Safia Osman, Flickr, Creative Commons

Il mercato cinese ha registrato un rally molto forte negli ultimi due anni, accompagnato da bassa volatilità in particolare nel 2017 (performance YTD in USD al 26 ottobre MSCI China +47,3%), a differenza degli anni precedenti, dove preoccupazioni di carattere macroeconomico circa un brusco atterraggio dell’economia e la decisione di svalutare lo yuan hanno portato a momenti di fortissima volatilità. 

Quest’anno, invece, una serie di fattori concomitanti ha dato una forte spinta al mercato e la policy del governo è stata a favore della stabilità economica in vista del XIX Congresso del Partito Comunista tenutosi a fine ottobre, che ha stabilito la leadership per i prossimi cinque anni. Al contributo della politica interna si è unita, dal 2016, una generalizzata ripresa dei mercati emergenti, guidati da un contesto economico globale più forte, dalla ripresa degli utili aziendali e degli scambi internazionali di cui la Cina ha beneficiato con esportazioni e importazioni cresciute in un anno del 9% e del 19% rispettivamente, e con quattro trimestri consecutivi di crescita in aggregato degli utili.

Dati sorprendenti se si pensa che a inizio 2017 i gestori asiatici ed emergenti erano ancora piuttosto cauti e in sottopeso sulla Cina, nonostante le valutazioni decisamente a sconto rispetto ad altri mercati emergenti. Tuttavia, parlare di un mercato cinese univoco sarebbe sbagliato: Hong Kong, Shanghai, Shenzen presentano caratteristiche molto diverse tra loro. Tra i due mercati locali, ad esempio, Shenzen è quello maggiormente orientato sulla new economy cinese, mentre Shangai sulle aziende statali legate alla old economy. Anche sul mercato offshore di Hong Kong, che nonostante le aperture generate dai programmi stock connect è ancora il mercato di riferimento per gli investitori occidentali, vanno considerate alcune peculiarità: l’indice Hang Seng China Enterprise ha un peso di finanziari del 70%, e non dà pertanto un’esposizione significativa a quelli che sono oggi i giganti del settore tecnologico, Tencent, Alibaba e Baidu, che inseriti, invece, nell’indice MSCI China (in cui pesano complessivamente il 33%) ne hanno alterato il profilo di valutazione rispetto al passato, ma anche la redditività potenziale e la performance di mercato. Per dare un ordine di grandezza all’importanza del settore tecnologico cinese, basti pensare che questo rappresenta il 12% dell’indice MSCI Emerging Markets. 

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L’ascesa dell’innovazione tecnologica ha portato dunque enormi cambiamenti nel modo di intendere l’investimento nell’azionario cinese, per cui ormai si parla di Old China, dove troviamo State Owned Enterprises, banche, energetici, telefonici, e New China, intesa come l’insieme dei settori orientati ai consumi evoluti (viaggi, servizi online, assicurazioni, servizi educativi e legati alla salute) e alla produzione industriale a maggior valore aggiunto (nei settori IT, auto, ambiente, energie alternative). 

Quindi, seppur storicamente la Cina è considerata una forza deflazionistica a livello globale, si sono sviluppati settori in grado di mantenere il proprio pricing power e livelli di revenue su cui Goldman Sachs ha calcolato una crescita annua composta del 18% negli ultimi 3 anni, ben superiore alla crescita del GDP. Questo rimescola le carte su come e in che entità avverrà l’atteso slowdown cinese. Questa nuova componente dell’economia cinese mostra infatti una crescita più anticiclica e strutturale, e non ha accompagnato la discesa degli indicatori economici tradizionali che si è vista nel 2015. Un graduale rallentamento dell’economia cinese è necessario rispetto ai livelli dello scorso decennio, ma sentir parlare di una brusca frenata è qualcosa che sta diventando sempre meno frequente.  

Le società tecnologiche, di servizi, gli industriali più innovativi sono oggi gli investimenti preferiti dagli investitori internazionali, non solo per una maggiore anticiclicità ma anche per i livelli di debito più contenuti. Molte di queste società detengono, infatti, valori di cassa positivi, e appaiono in prospettiva più resilienti qualora dovessero verificarsi crisi finanziarie innescate dal troppo elevato debito che caratterizza l’economia cinese e soprattutto molte società di proprietà statale. 

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L'azionario cinese

La Cina è un Paese su cui investire selezionando gestori attivi che abbiano un’approfondita conoscenza delle dinamiche politiche, macro, sociali e delle peculiarità dei diversi listini. Mentre su altri segmenti di mercato utilizziamo anche investimenti passivi, in questo caso riteniamo che la scelta di un indice sia inefficiente perché non coglie appieno e per tempo le trasformazioni che stanno interessando il gigante asiatico. La selezione è molto importante se pensiamo che solo nel peer group che monitoriamo, formato da circa 15 fondi tra attivi e passivi, in tre anni (ottobre 2014 - ottobre 2017) si è creato un differenziale di performance del 53% dal prodotto più performante al meno performante. 

I fondi che utilizziamo oggi sono Fidelity China Consumer ed LFP JCK China Equity, i quali rispecchiano due nostri principi di base: presenza locale del team di gestione e focalizzazione sul nuovo modello di crescita sopra descritto. Il secondo fondo, avendo masse più contenute, può facilmente cogliere anche opportunità nel mondo delle small/mid cap ed entrambi, pur investendo principalmente sul mercato di Hong Kong, possono destinare parte del portafoglio ai mercati locali. In generale, riteniamo che la scelta tra azioni A ed H debba essere valutata bottom up sulle singole società dagli investitori specializzati. Inoltre, investiamo in Cina anche indirettamente attraverso fondi Asia ex Japan con un peso importante sul Paese, tra cui citiamo un nostro investimento ormai di lungo termine, il fondo Mirae Asset Asia Great Consumer.

I rischi da monitorare 

Il presidente Xi Jinping è uscito molto rafforzato dalla fine del Congresso. Non prevediamo cambi di rotta improvvisi rispetto a quanto visto negli ultimi anni, probabilmente assisteremo a politiche volte a ridurre con gradualità gli eccessi del sistema, in primo luogo il rapporto debito/Pil, la sovracapacità di alcuni settori industriali e la speculazione immobiliare. Si cercherà di creare una società più equa e con migliori standard di vita, anche ambientali, e mantenere nel contempo un contesto di crescita seppur con una dinamica demografica sfavorevole. Sicuramente il quadro è complesso e il rischio di errori possibile, ma la Cina gode del vantaggio di essere un’economia relativamente chiusa dove la capacità di indirizzare la politica economica è maggiore rispetto alle economie occidentali. Sarà, inoltre, importante monitorare l’evoluzione del contesto geopolitico internazionale che vede sempre più una contrapposizione tra Cina e Stati Uniti nell’affermarsi come potenza economica predominante, in primo luogo sull’area asiatica.