La gestione passiva avanza e gli asset manager rispondono

guantoni
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L’appeal che ETF e fondi indicizzati stanno esercitando negli Stati Uniti, dove raggruppano già il 40% del patrimonio gestito di tutta l’industria dell’asset management, sta spingendo gli asset manager a reagire, riducendo le proprie commissioni. Secondo studio realizzato da Morningstar negli USA alla fine del 2015 il TER medio ponderato per patrimonio (esclusi i fondi monetari e i fondi di fondi) era dello 0,61%, il livello più basso della storia.

Tuttavia, sono diverse (ma ancora poche) le società di gestione che hanno sondato altre soluzioni, come quella di ripensare i propri modelli commissionali. Ultima in ordine cronologico è stata Fidelity che lo scorso novembre ha lanciato una gamma di fondi a commissione variabile su 10 dei suoi fondi azionari. Le prime classi caratterizzate dal nuovo modello di determinazione dei prezzi saranno lanciate a marzo e avranno commissioni di gestione variabili e la commissione di gestione annua sarà ridotta dello 0,10% rispetto alla equivalente classe con commissione fissa.

La quota variabile della commissione aumenterà o diminuirà in funzione della sovraperformance o sottoperformance rispetto all’indice di riferimento, al netto di tutte le commissioni e spese. Tale quota potrà aumentare fino a un massimo del +0,2% sulla commissione di gestione annua (soglia massima) e diminuire fino a un minimo del -0,2% sulla medesima commissione (tetto minimo). Il livello massimo e minimo sarà raggiunto quando il fondo sovraperforma o sottoperforma il relativo indice del +2% oppure del -2%, rispettivamente, su base annualizzata in un periodo di tre anni consecutivi.

Già cinque anni fa Candriam ha introdotto un sistema simile per la sua gamma di fondi tradizionali (strategie direzionali il cui obiettivo è battere un indice di riferimento). Per la classi destinate agli investitori istituzionali, la società è intervenuta cambiando le commissioni fisse di gestione e parallelamente ha introdotto commissioni variabili di gestione riscosse solo in caso di sovraperformance del benchmark.

Per proteggere gli investitori da un’eccessiva esposizione al rischio, tali commissioni di performance vengono riscosse nella loro totalità in differita, dal momento che si basano su un meccanismo di diluzione di 1/3 all’anno. Di conseguenza, se il primo anno l’indice viene battuto, la performance fee sarà riscossa solo se nei tre anni successivi accadrà lo stesso. Si tratta di un modello commissionale che ha portato a un notevole incremento di asset provenienti da investitori istituzionali.

A rimboccarsi le maniche sono state anche Allianz Global Investors e Old Mutual Global Investors. La società tedesca lo ha fatto inizialmente negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Qui, per ogni fondo è indicata una commissione di gestione fissa e un obiettivo di rendimento rispetto al tasso critico di rendimento. Il test di rendimento si basa sul rendimento netto registrato in un periodo di 12 mesi consecutivi, calcolato a partire dal valore patrimoniale della classe di azione rispetto al tasso critico di rendimento. Dopo aver determinato il rendimento per il periodo di 12 mesi, la commissione di gestione viene aumentata o ridotta in base al tasso di rendimento del fondo, fino al limite massimo o minimo stabilito. Una volta impostata, tale commissione è applicata al patrimonio netto del fondo per il periodo di 12 mesi.

Nel Regno Unito, la società di gestione calcola la commissione di performance per la share class e somma (si include nel valore patrimoniale del portafoglio) in base al rendimento aggiuntivo netto accumulato da quella classe di azione (al netto delle spese e delle commissioni e sempre a condizione che batta l’indice di riferimento). La commissione di performance è pagata unicamente quando si registra un rendimento aggiuntivo netto positivo alla fine dell’anno fiscale (o quando termina l’holding period, se è inferiore). “Questi modelli di commissione non sono validi per qualsiasi mercato o cliente, e comportano sfide per i gestori nella pianificazione dei loro budget, ma renderanno il prezzo più attraente per coloro che sono passati alla gestione passiva negli ultimi anni”, ha commentato Andreas Utermann, CEO e global chief investment officer di Allianz Global Investors.

Per quanto riguarda Old Mutual GI, invece, la società ha lanciato a novembre del 2017 delle nuove classi con commissioni di gestione annuali e performance fee per alcuni dei suoi fondi, come l’Old Mutual North American Equity. Il prodotto, che era già disponibile nelle classi normali (A, I), adesso presenta anche quelle denominate P1 e P2 (da ‘performance’, appunto). L’obiettivo di questo modello è essere competitivi in termini di commissioni fisse con gli ETF. In questo modo, si gode di una commissione inferiore ma con il vantaggio di avere un prodotto di gestione attiva che sovraperforma il benchmark, come nel caso di questa strategia. La commissione di performance richiesta è del 20%, sempre a condizione che batta l’indice al di sopra dell’high water mark. La commissione fissa è di 15 punti base per la clean class e di 80 per quella con retrocessioni. Per ora tale modello sarà applicato solo a questo prodotto ma dalla casa hanno già espresso l’intenzione di estenderlo ad altre strategie.