La fotografia del private equity e del venture capital italiano nel 2019

CIPOLLETTA
Innocenzo Cipoletta, presidente AIFI

“In tempi di Coronavirus è importante assicurare liquidità nel mercato per sostenere la ripresa delle aziende. Ci troviamo in una congiuntura economica storica in cui il settore del private equity ha una responsabilità importante per sostenere la crescita del Paese”, spiega Innocenzo Cipoletta, presidente di AIFI- Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt. “Mi aspetto una caduta del PIL del 5% nel 2020 ma se il sistema produttivo rimane sano mi aspetto una ripresa altrettanto rapida”.

I risultati del private equity italiano nel 2019 

Nel 2019 la raccolta sul mercato del private equity e venture capital è stata pari a 1.566 milioni di euro, in calo (-54%) rispetto ai 3.415 milioni dell’anno precedente, valore fortemente influenzato da alcuni closing di significativa importanza. Con riferimento alla provenienza geografica dei fondi, la componente domestica ha rappresentato il 73%, mentre il peso di quella estera è stato del 27%. Gli operatori che nel 2019 hanno svolto attività di fundraising sul mercato sono stati 22. A livello di fonti, il 24% della raccolta deriva da fondi pensione e casse di previdenza, seguiti dal settore pubblico, inclusi i fondi istituzionali (22%), e investitori individuali e family office (21%). “Interessante è quest’ultimo dato che dimostra un crescente interesse da parte di questi operatori per il settore”, spiega Cipoletta.

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Nel 2019, l’ammontare investito dagli operatori di private equity e venture capital è stato pari a 7.223 milioni di euro. Rispetto all’anno precedente, che aveva registrato, grazie a numerose operazioni di significativa dimensione, i volumi più alti mai riscontrati nel mercato italiano (9.788 milioni di euro), si è osservata una diminuzione del 26% dell’ammontare investito, che rimane comunque il terzo valore più alto osservato nel nostro mercato. Escludendo dalle analisi le infrastrutture, grandi protagoniste lo scorso anno con investimenti particolarmente rilevanti, il dato del 2019 (6.713 milioni di euro) risulta in linea con l’anno precedente (6.747 milioni). Tornando al totale investito, se aggiungiamo la quota parte relativa ad eventuali co-investitori, non classificabili come operatori di private equity e venture capital, e la leva finanziaria utilizzata per le operazioni di buy out, l’ammontare complessivo si attesta a oltre 12 miliardi di euro.

Inoltre, se consideriamo, a fianco degli operatori istituzionali censiti, anche altri soggetti di differente natura che hanno investito a fianco di quelli tradizionali, quali ad esempio club deal, family office, SPAC, asset manager e altri veicoli di investimento, nel corso del 2019 sono stati investiti complessivamente in equity quasi 10 miliardi di euro, distribuiti su circa 450 società. 

“Il mercato del private capital italiano rimane caratterizzato da un’evoluzione erratica, legata al realizzarsi di alcune operazioni importanti in un trend poco evolutivo”, afferma Innocenzo Cipolletta. “Pesa la carenza di operatori di rilievo e di fondi dei fondi nazionali tali da far crescere il numero e la dimensione degli operatori italiani. Nel 2019 i soli fondi di fondi operanti in Italia sono stati quelli internazionali che tuttavia stentano a ritrovare condizioni di investimento adatto ai loro target. Urge in Italia, come in altri paesi europei, avere un operatore di grandi dimensioni che sappia convogliare il risparmio, che resta abbondante nel nostro Paese. In questa direzione si sta muovendo Cdp con FII, ma servono dimensioni più rilevanti di quelle finora concepite”.

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Il numero di operazioni è cresciuto del 3% attestandosi a 370, rispetto alle 359 dell’anno precedente. Guardando ai comparti, il 2019 vede una decrescita dell’early stage per ammontare, -17% con 270 milioni di euro investiti, mentre il numero di operazioni è rimasto pressoché stabile pari a 168 (172 nel 2018); l’expansion rimane in termini di numero allineato al 2018 con 48 operazioni, mentre cresce del 10% nell’ammontare (896 milioni di euro); sale il numero delle operazioni di buy out (+13%) a 123, mentre rimane in linea l’ammontare, pari a 5.096 milioni di euro (-3%). Da sottolineare che il segmento dell’expansion è stato nel 2019 il secondo per ammontare, superando quello delle infrastrutture che nell’anno considerato è diminuito dell’83% in termini di ammontare (510 milioni di euro) e del 19% nel numero.tipologia

“Il mercato italiano è ancora fortemente influenzato dalla presenza di mega deal che avevano spinto al rialzo, specialmente nel comparto infrastrutture, le statistiche del 2018,” ha commentato Francesco Giordano, partner di PwC Deals. “I dati del 2019, pur con un minor numero di mega deal rispetto allo scorso anno, mostrano una buona tenuta del numero di buy out che cresce del 13%”.

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Il 2019 vede il settore ICT primeggiare con il 17% delle operazioni totali, seguito dai beni e servizi industriali, 15%, e dal medicale, 13%. A livello geografico la regione che ha totalizzato la gran parte delle operazioni è la Lombardia con il 41% del numero degli investimenti in Italia, seguita da Emilia Romagna (12%) e Veneto (9%).

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“In riferimento al mercato italiano, pensiamo che, nel corso del 2020, alcuni settori come quello sanitario e IT possano beneficiare di un trend di crescita sostenuto, favorito dall’emergenza del Coronavirus e l’introduzione dei nuovi sistemi organizzativi come lo smart working”, spiega Cipoletta. 

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Disinvestimenti

Nel 2019, l’ammontare disinvestito al costo di acquisto delle partecipazioni è stato pari a 2.216 milioni di euro, in diminuzione del 21% rispetto ai 2.788 milioni dell’anno precedente. Il numero delle exit è stato 132, in linea con il 2018 (135). Il canale maggiormente utilizzato per i disinvestimenti, se guardiamo ai volumi, è la vendita ad un altro operatore di private equity, 41% del totale disinvestito, 908 milioni di euro, se consideriamo il numero di operazioni, la vendita a soggetti industriali (45% pari a 59 exit).

Purtroppo in Italia gli investimenti in questa asset class sono ancora molto pochi rispetto agli altri Paesi europei (soprattutto in riferimento alla Spagna), considerata la grandezza e la diversificazione del tessuto industriale del nostro Paese”.

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