Ecco i rischi politici portati dall’estate

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Il mese di agosto si è rivelato particolarmente caldo da un punto di vista politico con crisi che sono rimaste però circoscritte da un punto di vista delle reazioni dei mercati a livello globale. Una di queste ci ha riguardato direttamente con la fine del governo Lega - Movimento 5 Stelle. Gli altri focolai di tensione hanno riguardato l’Argentina, con il risultato fortemente negativo del presidente Macrì nelle primarie preparatorie alle elezioni presidenziali del 27 ottobre, e le tensioni tra Hong Kong e Pechino legate ai trattati di estradizione da perfezionare con l’ex colonia britannica.

Il nodo legge di Bilancio

La fine dell’esecutivo guidato da Giuseppe Conte pone, da un punto di vista strettamente economico, un unico ma mastodontico quesito. Quello relativo alla legge di bilancio, la cui discussione deve iniziare a partire da metà settembre nel Parlamento nazionale con inizio di revisione a partire dal giorno 27 dello stesso mese. In gioco c’è, in caso di mancata approvazione e inizio quindi dell’esercizio provvisorio, l’applicazione automatica delle clausole di salvaguardia da cui discenderebbe un aumento dell’IVA al 25%. Misura drastica i cui effetti sulla già stressata economia italiana sono solo parzialmente prevedibili. 

“Nonostante il ritorno delle incertezze elettorali”, affermano da Amundi SGR, “riteniamo che l’impatto sugli spread italiani sarà limitato rispetto alle precedenti fasi di pressione politica viste da maggio dello scorso anno. Infatti, nei prossimi mesi agirà una combinazione di fattori tecnici di supporto e valutazioni relative, in un momento in cui è probabile che la BCE riaprirà gli acquisti netti del QE. Manteniamo una posizione cauta da un punto di vista generale poiché ci troviamo in una fase più matura del ciclo finanziario globale. I rischi sono ora al ribasso, dato che tensioni geopolitiche in aumento stanno già deprimendo il commercio globale e il settoremanifatturiero. In particolare, la crisi politica italiana è un rischio idiosincratico e non sistemico per i mercati".

Secondo Amundi SGR tuttavia, "il premio per il rischio politico è abbastanza evidente e manteniamo la nostra preferenza per i BTP rispetto alle azioni italiane. È importante notare che le attività italiane presentazioni valutazioni più convenienti in termini relativi se si confrontano i multipli azionari e gli spread dei titoli governativi con quelli degli altri paesi europei. I rapporti prezzo / utili attuali e attesi per le azioni italiane sono molto inferiori a quelli europei e il rendimento da dividendi è prossimo al 5%. Le aspettative sui profitti nel paese non sono eccessivamente ottimistiche, quindi non dovrebbero essere deludenti nemmeno in un contesto politico sfidante”.

Inoltre, non bisogna dimenticare che in questi giorni i mercati hanno dimostrato di preferire il nuovo governo M5S-PD che ha allontanato lo spettro del sovranismo anti-euro. 

Argentina, torna il populismo?

L’elezione nel 2015 di Mauricio Macrì alla Presidenza argentina è sempre stata vista in modo favorevole dai mercati, convinti nella bontà dell’ambiziosa agenda di riforme messa in campo dal governo. Nonostante le difficoltà del 2018, anno in cui una combinazione di inflazione, tassi e debito in ascesa ha impattato sulla liquidità, il consensus nel mondo finanziario continua a pendere per il governo uscente, ritenendo l’alternativa rappresentata dal ticket Gustavo Fernandez-Christina Kirchner un pericolo per il rispetto degli impegni internazionali presi dallo stato sudamericano.  

“La strada dell’Argentina”, afferma Oliver Bell, gestore del fondo T. Rowe Price Frontier Markets Equity, “sembra molto più incerta guardando al futuro, con il Presidente Macri che ha incassato una notevole perdita alle elezioni primarie del 12 agosto”. “Insieme all'ex Presidente Christina Kirchner, il candidato di punta Alberto Fernandez”, aggiunge, “rappresenta una prospettiva incerta e i mercati rimarranno probabilmente volatili, preoccupati di un possibile ritorno a politiche populiste”. “L'Argentina”, conclude Bell, “è stata recentemente reinserita nell'Indice MSCI Emerging Markets, ma la sua transizione potrebbe non continuare in maniera così fluida”.

“Gli investitori”, fa notare inoltre Koon Chow, EM Macro e FX Strategist EM Fixed Income di Union Bancaire Privée, “hanno reagito in modo molto negativo al netto vantaggio riportato da Fernandez nelle primarie”. “Nel giro di tre giorni”, fa notare, “i prezzi medi dei bond sovrani in valuta forte sono scesi del 40%, il peso si è deprezzato di circa il 32% e l'indice azionario di Merval è sceso del 48%”. 

Ma fanno bene i mercati obbligazionari a prezzare il default quasi come una certezza? Sì e no. “Da un lato, i timori del mercato possono costituire una profezia che si autoavvera, mettendo dei debitori potenzialmente solventi nelle condizioni di non riuscire più a rifinanziare i propri debiti. Fortunatamente per l’Argentina, il prossimo significativo blocco di debito in scadenza non arriverà prima del 2021, quando dovranno essere restituiti 4,5 miliardi di dollari di debito capitale”, spiega Alberto Boquin, research analyst di Brandywine Global (gruppo Legg Mason). “Nel frattempo, i pagamenti delle cedole e i rollover dei titoli a breve termine saranno difficili, ma la banca centrale può contare su oltre 60 miliardi di dollari di riserve lorde. Per capirci, questa cifra equivale al 140% dell’offerta di moneta e a circa 13 mesi di importazioni”.

Hong-Kongcigno nero nell’era della guerra commerciale

Secondo Filippo Lanza, gestore del fondo HI Numen Credit, Hedge Invest SGR, la crisi in corso ad Hong Kong con l’attuale politica del currency peg (il regime di tassi di cambio fissi che lega il dollaro HK al dollaro USA) non è di alcun aiuto al Governo cinese, e può portare a un vero e proprio de-pegging qualora lo status speciale di Hong-Kong venisse sollevato a seguito di nuove rivolte. "Ciò lascerebbe il tesoro della Hong Kong Monetary Authority (HKMA) (vale a dire le riserve di dollari USA) a disposizione della Cina per le sue negoziazioni commerciali con gli USA. È sorprendente pensare che, fino a qualche mese fa, le rivolte di Hong Kong così come la svalutazione della valuta da parte della Cina avevano zero probabilità anche negli scenari più pessimistici. Hong-Kong potrebbe essere il cigno nero nell’era della guerra commerciale".