Il sistema di remunerazione nella distribuzione dei prodotti finanziari

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Mathieu Stern (Unsplash)

L’industria finanziaria italiana ed in particolare il settore del risparmio gestito, è strutturata secondo un modello di produzione e distribuzione nel quale diversi soggetti intervengono nella catena di creazione del valore.

Il meccanismo di remunerazione è basato normalmente sul pagamento da parte del cliente di commissioni per la sottoscrizione ed il mantenimento dell’investimento nel prodotto finanziario (ad esempio un fondo di investimento o una Sicav) che viene prelevato dal soggetto gestore e successivamente distribuito, in funzione di accordi contrattuali e della quantità sottoscritta e detenuta, ai soggetti che hanno curato il collocamento del prodotto.

Il sistema di remunerazione è conosciuto con il nome di retrocessione (in inglese rebates) delle commissioni. L’investitore che sottoscrive il prodotto finanziario riceve un’informazione molto dettagliata sui costi ed oneri totali che gravano sul suo investimento mediante il prospetto informativo e i documenti sintetici allegati. La trasparenza della ripartizione della remunerazione tra soggetto gestore e distributore è, nonostante alcuni recenti progressi della normativa, di gran lunga inferiore.

La dimensione del fenomeno

Il sistema di remunerazione dei soggetti che collocano i prodotti finanziari in Italia trova corrispondenza, seppur in misura più rilevante, nelle modalità prevalenti nella maggioranza dei paesi europei. Il modello europeo si distingue invece dalle regole di mercato presenti negli Stati Uniti nei quali è prevista una specifica e ben visibile commissione per i distributori (o i brokers) dei fondi di investimento (denominata Sec Rule 12b-1 fee).

Nell’ottobre 2011, uno studio pubblicato da Efama, l’associazione dei gestori di fondi europei, in collaborazione con Strategic Insight, (Fund Fees in Europe), si proponeva di analizzare la struttura e le componenti delle commissioni dei fondi di investimento. 

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Sul tema delle retrocessioni, lo studio evidenziava che, sul totale delle commissioni prelevate dal Fondo (TER), il gestore tratteneva il 42%, mentre il distributore riceveva mediamente il 41%; il restante 17% era assorbito da varie spese di carattere operativo come il compenso della banca depositaria ecc.

L’entità delle retrocessioni commissionali risultava variabile in funzione della tipologia del canale distributivo: le percentuali retrocesse alle banche ed assicurazioni risultavano più elevate (53-55% rispettivamente), mentre i consulenti finanziari (IFA) o le piattaforme di distribuzioni evidenziavano quote di retrocessioni nettamente inferiori (44-46% rispettivamente).

Nel nostro paese, nel quale è di maggiore entità il ruolo del sistema bancario nella distribuzione dei prodotti finanziari, il valore medio delle retrocessioni delle commissioni dei fondi, si è mantenuto su livelli più elevati rispetto alla maggior parte dei paesi europei.

Il grafico seguente, pubblicato nel Quaderno di Finanza della Consob nel gennaio 2008 (“Il marketing dei fondi comuni italiani”) mette in evidenza il livello più elevato delle retrocessioni di commissione nel nostro paese.

L’indagine condotta dalla Banca d’Italia e pubblicata nel 2008 (Fondi comuni italiani: situazione italiana e possibili linee di intervento), con riferimento specifico ai fondi comuni aperti, rilevava che il tasso di retrocessione era nel 2006 mediamente pari al 72%. La percentuale più elevata era quella delle SGR bancarie (75 per cento per quelle di gruppi italiani, 76 per le estere), mentre la quota di retrocessione delle SGR non inserite in gruppi si aggirava attorno al 47%.

Più recentemente, secondo l’annuale inchiesta condotta da Plus24, in collaborazione con Interactive Data InvestOnline, la dimensione delle retrocessioni di commissioni si è ridotta portandosi nel 2013 su valori medi del 67,5%.

La normativa MiFID

Il meccanismo di remunerazione dell’attività di collocamento dei prodotti finanziari è stata tradizionalmente inquadrata dalla normativa europea e nazionale nella disciplina degli “incentivi”, ossia di quelle forme di remunerazione che possono condizionare i distributori nella scelta del prodotto finanziario portandoli a privilegiare i prodotti più remunerativi oppure quelli gestiti da entità del proprio gruppo di appartenenza (distribuzione “captive”) e quindi disciplinata sotto il capitolo dei conflitti di interesse.

L’entrata in vigore della Direttiva MiFID nel 2007 ha modificato e rafforzato questa tradizionale impostazione, (art. 26 della Direttiva di esecuzione 2006/73/CE), portando la materia degli “inducements” nel quadro dei principi generali di condotta sanciti dell’art. 19 della Direttiva MiFID di primo livello, che impone agli intermediari di agire “in modo onesto, equo e professionale per servire al meglio gli interessi dei clienti”.

Tale scelta del legislatore europeo ampliava in modo sostanziale le tipologie di incentivi che, pur non essendo classificabili nell’ambito dei conflitti di interesse, dovevano tuttavia rispettare le regole previste dall’art. 26 della Direttiva.

In particolare la nuova normativa prevedeva che gli incentivi pagati o ricevuti dagli intermediari dovessero essere chiaramente comunicati al cliente ed essere finalizzati all’accrescimento della qualità del servizio prestato al cliente.(Art. 26 lettera b).

Nella realtà italiana, nella quale le retrocessioni commissionali risultavano mediamente più consistenti, le Autorità di Vigilanza (Consob) hanno adottato regolamenti attuativi e specifiche disposizioni particolarmente rigorosi, prevedendo l’obbligo di indicare negli allegati al prospetto informativo una maggiore trasparenza delle percentuali di retrocessioni delle commissioni dei Fondi e vietando la retrocessioni di commissioni nel servizio di gestioni patrimoniali individuali (GPF).

L’evoluzione del quadro normativo comunitario, con l’approvazione della Direttiva di revisione della MiFID (MiFID2), porterà nei prossimi anni ad una ulteriore estensione della regolamentazione degli incentivi nei servizi di investimento. La nuova disciplina prevede l’introduzione di una specifica declinazione del servizio di consulenza in materia di investimenti, definita  indipendente, nel quale verranno vietati i pagamenti di commissioni da parte di terzi e la ricezione di altri incentivi di carattere non monetario.

Tale misura, che è finalizzata ad accrescere il livello di protezione degli investitori, si inquadra in un processo normativo e regolamentare, già attuato in alcune giurisdizioni nazionali (si veda la Retail and Distribution Review in UK, e la disciplina nazionale in Olanda)  che progressivamente pone il divieto o riduce la legittimità delle retrocessioni commissionali.