Il rally del petrolio? Attenzione ai fondamentali

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foto: autor Sr

Dopo alcuni anni febbrili, il petrolio ha cominciato (o meglio ha proseguito) il 2018 con un rally che ha spinto il prezzo del WTI (riferimento in USA) a circa 65 dollari al barile, ai massi da oltre quattro anni. La causa principale della gallopante crescita dei prezzi negli ultimi mesi riguarda certamente l’accordo tra l’OPEC e alcuni Paesi membri – Russia in primis – per ridurre la produzione, accordo che si estederà fino a fine 2018. Le quotazioni del petrolio hanno ricevuto sostegno dalle parole del ministro dell'energia saudita Khalid al-Falih, che assicurano il mantenimento del consenso dei Paesi OPEC: “avvicinandoci al riequilibrio del mercato verso la fine del 2018 abbiamo bisogno di estendere la cornice anche se non necessariamente i livelli di produzione”.

Eppure molti esperti pensano che questo rally potrebbe presto fermarsi. Soprattutto perché “i prezzi potrebbero ridursi in vista di un incremento di produzione negli USA, dove si pensa possa superare i 10 milioni di barili al giorno già agli inizi di quest’anno”, dice Monica Defend, strategist di Amundi. A suo dire, la chiave di volta per capire come si comporterà questa commodity, almeno a breve termine, sta nell’offerta di petrolio degli Stati Uniti: “Se la produzione aumenta drasticamente, fino a 11 milioni di barili al giorno, il prezzo potrebbe scendere fino alla soglia tra 30 e 50 dollari a barile” spiega, anche se in generale la società prevede che il prezzo del Brent lungo il corso dell’anno resterà stabile tra i 60 e i 65 dollari.

Ad ogni modo, il recupero del petrolio iniziato dalla seconda metà del 2017 ha rinnovato l’interesse degli investitori verso i titoli del settore energetico. Il grafico di AcomeA SGR mostra il confronto tra la variazione del prezzo del petrolio e quello del paniere di azioni del comparto energetico (S&P 500 Energy).

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Come si può notare, dalla seconda metà del 2017 ad oggi, il prezzo della commodity è cresciuto quasi del doppio rispetto all’indice di azioni energetiche. Mentre il WTI si è apprezzato del 40% in 7 mesi, l’indice americano delle 32 società energetiche è cresciuto del 20%. Come a dire che la correlazione non è detto sia scontata.

Lo spiega bene Matteo Dirupati, gestore del fondo AcomeA America: “Il prezzo del petrolio è stato storicamente uno dei principali driver degli utili delle società energetiche statunitensi. La sua influenza sui prezzi dei titoli rimane positiva, ma in misura più contenuta rispetto al passato. Oggi, i mercati guardano con molta attenzione i fondamentali legati all’efficienza produttiva. A livello di asset allocation del fondo AcomeA America, manteniamo una esposizione rilevante (20%) nei titoli Oil & Gas perché riteniamo che le valutazioni e le opportunità in questo settore siano ancora sottovalutate rispetto al resto del mercato”.