Il “people business” di Indaco SGR

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Davide Turco e Elizabeth Robinson, managing partner di Indaco SGR

Con la Legge di Bilancio 2019 è aumentata dal 5% al 10% la soglia dell’attivo patrimoniale che le Casse previdenziali dei liberi professionisti e i fondi pensione possono destinare a investimenti qualificati a lungo termine. Questo è stato un passo importante per favorire ed incentivare lo sviluppo in Italia di un mercato ancora troppo sottovalutato come quello dei fondi di venture capital. Ma cosa caratterizza questo mercato? Ne abbiamo parlato con Davide Turco e Elizabeth Robinson, entrambi managing partner di uno dei principali esponenti del settore, Indaco SGR, che con il suo Indaco Venture gestisce il più grande fondo venture capital italiano, che ha già raccolto 134 milioni di euro a fronte di un obiettivo di raccolta di 200 milioni di euro.

Indaco SGR è una piattaforma specializzata indipendente ed aggregante che ha messo insieme diverse esperienze provenienti da altre realtà. La società ha infatti due soci istituzionali Intesa San Paolo e Futura Invest, e gestisce altri 3 fondi di venture capital in precedenza gestiti all’interno del gruppo bancario italiano e uno in precedenza gestito da Quadrivio SGR (ora Green Arrow Capital). Un team unico si occupa della gestione di tutti i fondi, supportato da una rete ‘tech champions’ esterna, cioè una serie di esperti di tecnologia che sono riusciti a trasferire la loro expertise in un business imprenditoriale.

“Ci occupiamo principalmente di aziende innovative che hanno un vantaggio competitivo in termini di nuove tecnologie e processi di digitalizzazione. – spiega Turco- Il vero scopo è quello di investire in questo genere di realtà per accelerarne la crescita. Quindi il nostro target sono soprattutto imprese che hanno fatto un pò di strada e che cercano di fare il salto di qualità. Di solito in queste società manca un livello adeguato di management, il che ne mina lo sviluppo”.

La maggior parte delle aziende a cui si rivolge Indaco SGR sono italiane, ma per un 25% può investire anche all’estero; questo è importante per mantenere una mentalità globale e creare un network in altri Paesi. L’exit auspicabile per queste società è l’acquisizione da grandi gruppi inernazionali o la quotazione in borsa. “Spesso accade che l’imprenditore vuole quotarsi in borsa ma non trova nè l’investitore, nè l’advisor specializzato. Abbiamo visto che family office o  soggetti HNWI sono molto interessati ad investire in queste tipologie di realtà, ma un fondo italiano specializzato in un determinato settore e che punti all’accelerazione delle start up ancora non esiste”, aggiunge l’esperto.

Il team di investimento valuta il potenziale di sviluppo di un’azienda, e la solidità dell’innovazione, il team e il potenziale upside. Da cento opportunità si investe in media su 1 o 2 aziende. Dopo aver individuato la società, si decide la cifra da investire e si condivide il piano di sviluppo, che andrà razionalizzato nel tempo. Viene definita una milestone, e una volta raggiunta  vengono  allocate altre risorse. “Si analizzano i brevetti, gli aspetti legali, i business plan, ma alla fine è un people business, cioè noi investimo sugli imprenditori”, conclude Elizabeth Robinson.

I problemi del sistema

Secondo Elizabeth Robinson esistono alcuni problemi strutturali. “In borsa italiana mancano gli investitori istituzionali per queste aziende più piccole. Le banche di investimento non danno abbastanza supporto sotto forma di 'analyst coverage'  a queste IPO dopo la quotazione. Se si attirano più investitori, è possibile anche smuovere questo business e gli advisor. Sicuramente è positivo che arrivino più risorse ai fondi di venture capital, ma è altrettanto importante che ci siano più possibilità di exit. Proprio perché la nostra borsa è meno sviluppata al riguardo, la gamma di scelta delle exit viene limitata”, spiega.

Ciò non significa che non ci siano possibilità di ritorni positivi nel venture capital, la manager dichiara che “rafforzando il mercato delle IPO tecnologiche italiane si potrebbe fare di più. Il nostro fondo Atlante Ventures ha infatti già restituito rendimenti positivi a due cifre, in un contesto di bassi tassi di interesse il venture capital può garantire una forte diversificazione".