Il letargo delle commodities il 2014 tra speranze di ripresa e disinflazione

Le commodities sono qualcosa di intrinsecamente differente dai bonds o dalle azioni: non pagano interessi o dividendi, non permettono di esercitare poteri decisionali. Vanno quindi capite, per prima cosa, nella loro natura: sono mercato allo stato puro, legge della domanda e dell’offerta legata a qualcosa di estremamente tangibile, metalli, pancette di maiale, grano, vitelli. Le commodites non sono (a parte, forse, l’oro che è la valvola di depressurizzazione delle tensioni finanziarie globali) manipolabili dalle banche centrali, dagli acquisti a mercato aperto o dalla variazione di tasso. Se c’è un qualcosa a cui rispondono, è semmai il ciclo dell’economia reale, dove il termine reale è specifica non da poco, in quanto non prende in considerazione le riprese economiche innescate da stimoli puramente monetari e quindi virtuali. Detto in altri termini: quando le ciminiere delle fabbriche fumano e la produzione gira a pieno regime, cioè nella fase finale di un normale ciclo di espansione, le commodities brillano: non in quanto ipotetici mezzi di protezione dall’inflazione, ma in quanto strumenti fisici su cui la domanda è maggiore dell’offerta.

La storia recente

I maggiori utilizzatori di materie prime sono i BRIC, in generale i mercati emergenti, che rappresentano oltre metà del PIL mondiale e molto di piu’ in termini di popolazione. Dopo la fiammata che è culminata nel boom del 2007-inizio 2008 (seguito dal crollo del 2008, che ha accomunato commodities e borse), le materie prime hanno vissuto due grandi fasi: la prima – di ripresa - fino a inizio 2011, culminata con il massimo dei metalli preziosi; la seconda, da inizio 2011 ad adesso, di lento stillicidio ribassista, intervallato da correzioni positive di breve termine.

ALT_IT_01_01

L’analisi della performance di cinque tra i principali fondi di investimento presenti sul mercato europeo conferma le difficoltà: negli ultimi tre anni, il rendimento è stato negativo per una media annua tra il -5% e il -11%, in linea del resto con quello dei principali indici.

Le commodities hanno quindi interrotto bruscamente negli ultimi anni quel processo di repricing che molti consideravano secolare, iniziato nel 2001 e per ora culminato nel 2011. 

A partire da inizio 2011, la correlazione che aveva comunque legato materie prime e borsa nel decennio precedente si è bruscamente interrotta e anzi si è rovesciata. Perché? La risposta non è certamente semplice e non può essere ricondotta a un solo fattore. Tuttavia, un ruolo importante è stato certamente giocato dalla politica delle banche centrali di molti paesi. 

L’andamento dell’indice generale delle commodities risulta strettamente correlato con l’indice azionario dei mercati emergenti, i quali a loro volta – nonostante tassi di crescita nettamente superiori – hanno sottoperformato negli ultimi tre anni i mercati azionari dei paesi maturi, meno performanti in termini di PIL ma sostenuti da prolungate politiche economiche di espansione della base monetaria e di sostegno agli asset finanziari. Si puo’ quindi dire che quella che appare come una semplice correlazione statistica abbia un senso più profondo: le economie più finanziarizzate (o meglio: i loro mercati) hanno prevalso nella lotta per l’attrazione del capitale sulle economie piu’ legate al ciclo economico.

ALT_IT_01_02

Come detto all’inizio, le materie prime sono tipicamente legate alla parte finale del ciclo (back end-of-cycle). Pertanto, la questione basilare che potrà essere risolta solo dai mercati e valutata solo attraverso la loro azione, è se la lunga coda di ripresa fittizia tenuta in vita dal QE e dalle strategie similari si trasformerà in ripresa economica a tutti gli effetti o se, una volta finita una somministrazione di stimoli, che non può certo durare all’infinito (gli avvisi della FED in proposito sono stati chiari), mercati e economie reagiranno in malo modo.

I possibili scenari

L’opinione di chi scrive è che fino a che l’ambiente economico sarà caratterizzato da inflazione in discesa e immissione di liquidità, difficilmente si potranno vedere rialzi strutturali. Successivamente, la reazione alla conclusione progressiva degli stimoli monetari potrebbe essere inizialmente negativa per molte classi di asset, commodities comprese (ferma restando la disomogeneità di andamento tra commodities di diverso tipo). Questo calo, tuttavia, dovrebbe portare alla formazione per molte materie prime entro il 2015 di un minimo ciclico molto importante e della continuazione del processo di repricing secolare a cui si è accennato sopra, legato anche a una ripresa della forza dei mercati azionari di BRIC e economie emergenti nei confronti delle economie occidentali.

Processi di questo genere, tuttavia, intervengono in finestre temporali piuttosto lunghe, per cui è difficile e forse anche poco conveniente cercare di anticiparli. A posteriori, ad esempio, pochissimi avrebbero pensato a inizio 2011 che i mercati sarebbero andati incontro a tre anni di sottoperformance delle borse di BRIC e Emergenti, rispetto a Europa e USA. Questo trend non sembra accennare a modificarsi per cui, guardando da qui a 3-6 mesi, non vediamo particolari motivi di tensioni sui prezzi, fatto salvo il possibile scatenarsi di fattori esogeni.

In una prospettiva più ampia, suggeriamo di tenere sotto controllo alcuni livelli-chiave di resistenza di lungo termine, come 115-120 USD sul petrolio Brent (attualmente intorno a 107), 1360 USD per l’oro (attualmente sui 1250), 350 USD per il rame (che staziona da mesi fra 310 e 340): una ripresa che riuscisse a portare sopra questi prezzi sarebbe una importante conferma di un ritorno strutturale della smart money sulle commodities.

L'OPINIONE DEL FUND SELECTOR
Fabio Catalanoportfolio manager di AcomeA SGR S.p.A
Nei nostri portafogli non utilizziamo comparti con strategie dedicate alle materie prime. La debolezza strutturale delle commodities non sembra ad oggi aver trovato una fase di stabilizzazione. Inoltre la maggior parte degli indici ha una significativa componente legata al settore energetico fino a rappresentare oltre i due terzi dell’universo: questa componente potrebbe rimanere debole risentendo degli effetti di una crescita mondiale inferiore alla media degli ultimi anni, della rivoluzione dello shale gas negli Stati Uniti e del miglioramento dell’efficienza energetica grazie alle nuove tecnologie sviluppate nel settore automobilistico.