Il futuro delle Banche centrali una view obbligazionaria

Il graduale mutamento di paradigma cui le Banche centrali di tutto il mondo stanno sottoponendo i mercati - e che prevede l'abbandono di politiche di acquisto di titoli su larga scala e tassi di riferimento molto bassi, se non negativi - rappresenta una tendenza motivata sia da ragioni comuni sia specifiche per ogni giurisdizione. L’obiettivo è avere una normalizzazione dei tassi d’interesse e dei bilanci delle Banche centrali che porti non solo a una ripresa economica endogena ampia e sostenuta ma che consenta a queste istituzioni di cessare le loro interferenze distorsive dei segnali e dei comportamenti dei mercati, riducendo il rischio di andare incontro a una volatilità finanziaria dannosa. Il futuro delle politiche degli istituti centrali di tutto il mondo è stato, quindi, oggetto della tavola rotonda organizzata da Funds People con i gestori obbligazionari delle più importanti realtà italiane del risparmio gestito.

Secondo Carlo Bodo, responsabile dei programmi obbligazionari di Ersel AM SGR, in questo momento la Fed non ha bisogno di intervenire in modo importante, nonostante il tasso di disoccupazione molto basso. “Ci sono alcuni fattori contingenti che probabilmente permettono di attendere di più che in altri momenti. In primis, sicuramente il petrolio, e poi le dimensioni dell’attuale QE, il più corposo e lungo della storia. L’elemento, forse, più ‘pericoloso’ è la riduzione di bilancio: quando anche quello entrerà in gioco, allora potremmo andare incontro a un potenziale problema. Per quanto riguarda la BCE, invece, credo che il momento di una vera interruzione della fase espansiva sia ancora molto lontano”, afferma il gestore.

Verso la normalizzazione

L’attuale contesto sembra, quindi, mostrare una lenta normalizzazione delle politiche monetarie sia in Europa sia negli Stati Uniti. Scenario che, per Yuri Basile, responsabile del comparto obbligazionario di Aletti Gestielle SGR, è propenso a facilitare situazioni come la stabilità dei mercati finanziari in Europa evitando, così, eventuali problemi nei titoli periferici con l’uscita dal QE. “In America, pur essendoci piena occupazione, l’inflazione al momento è assente. Personalmente, sono molto più vicino alle attese della Fed sull’inflazione e sui tassi ufficiali piuttosto che a quelle del mercato, che sconta ben poco”, ha commentato il fund manager. 

Su quest’ultimo aspetto concordano anche da UBI Pramerica SGR dove, a detta di Luca Franchi, responsabile gestioni obbligazionarie e valutarie, il sentiero per la risalita dei tassi d’interesse appare abbastanza impervio. “La ragione è da ricercare nella maggior difficoltà che si registra nella creazione d’inflazione. Notiamo, infatti, come la core inflation nell’Eurozona si sia attestata sul medesimo livello di due anni fa, quando la BCE ha avviato il proprio programma di QE. Continuando ad analizzare il tema delle aspettative d’inflazione, e nello specifico quelle stimate dai break even, riscontriamo un livello inferiore al target”, afferma Franchi. 

Relativamente allo shrinking del balance sheet della Fed, Fabrizio Viola, senior portfolio manager sugli strumenti di credito investment grade di Generali Investments, pensa che la Banca centrale americana possa iniziare con 10 miliardi al mese a partire da settembre, e accelerare nel corso del 2018. “Ci aspettiamo quattro rialzi da parte della Fed, mentre oggi il mercato ne prezza soltanto due. Diciamo che vi è uno scenario peggiorativo che pesa sulla parte lunga della curva dei Treasury. Sull’Europa riteniamo che già da settembre ci possano essere le prime indicazioni di tapering, che sarà messo in atto nel primo trimestre del 2018, salvo sorprese negative sul fronte elezioni in Italia. Dall’altra parte del mondo, il Giappone continua la sua politica di controllo della curva, quindi, di fatto, lo scenario che stiamo dipingendo non è ancora da bear market tassi”, spiega il gestore. 

Politiche coordinate

Il comun denominatore che evidenzia Paolo Gandolfi, responsabile gestioni collettive a benchmark di Euromobiliare AM SGR, è rappresentato dal fatto che tutte le Banche centrali sono ancora relativamente reattive piuttosto che proattive, con una Fed che sta alzando i tassi gradualmente e con molta cautela. 

“Personalmente, non sono certo che queste credano fino in fondo agli stessi dots, ma sostanzialmente il loro atteggiamento indica una direzione rispetto alla quale costruirsi un cuscinetto e avere qualche spazio di manovra nell’eventualità che il quadro macro si deteriori. La mia sensazione è che, anche per le ripercussioni sulle valute, le Banche centrali tendano a muoversi in maniera coordinata pur tenendo conto dei lag temporali e delle differenze di ciclo, come ad esempio tra USA ed Europa”, commenta il portfolio manager.

Luca Felli, responsabile investimenti obbligazionari e valute di Anima SGR, si aspetta che il prossimo anno le principali Banche centrali si muoveranno nella stessa direzione e in senso restrittivo, e che qualunque incertezza sul profilo dell’inflazione avrà un’importanza solo relativa. Secondo l’esperto, infatti, nel 2018 le Banche centrali saranno tutte soddisfatte del lavoro compiuto e passeranno dalle parole ai fatti. “Se dovessi pensare a quali diversi fattori potrebbero modificare questo scenario, direi più un dollaro forte in questa fase del ciclo che una correzione importante delle borse. 

L’altro punto che secondo me farà la differenza da qui a fine anno è la valutazione da parte delle Banche centrali dei possibili effetti di secondo livello delle loro azioni”, sostiene il gestore, che vede nel 2017 l’anno d’inizio di un vero cambio di direzione della politica monetaria globale.

Il grosso vantaggio che la BCE ha rispetto alla Fed è che questa abbia iniziato il QE molto in ritardo rispetto alla Banca centrale americana, cinque anni dopo per l’esattezza. A pensarla così è Paolo Bernardelli, responsabile fixed income & fx di Eurizon Capital SGR, il quale sostiene che questa tranquillità permetterà alla BCE di apparire ai mercati leggermente ‘behind the curve’, accompagnando le aspettative di inflazione e, quindi, perseguendo la normalizzazione dell’inflazione stessa. “Per quanto riguarda la Fed, c’è molta divergenza tra le aspettative del mercato e la volontà della Banca centrale di alzare i tassi. Probabilmente, la Banca centrale americana continuerà a fare quello che ha fatto finora, ovvero da un lato alzare i tassi e dall’altro continuare ad apparire molto dovish, perché così facendo permetterebbe ai tassi di normalizzarsi senza penalizzare le borse, che infatti rimangono vicine ai massimi storici”, conclude Bernardelli.