Il dramma della gestione attiva spiegato in numeri

lotta
Paul Shaffner

Il risultato ottenuto dai gestori di fondi attivi negli ultimi dieci anni al momento di battere il mercato è stato scarso. I dati sono tanto mediocri quanto preoccupanti per l'industria. I rendimenti netti ottenuti dai prodotti gestiti attivamente in 47 delle 49 categorie Morningstar sono stati inferiori a quelli offerti dalla gestione passiva. In 28 di queste categorie la percentuale di gestori attivi che ha battuto i prodotti di gestione passiva è stata inferiore al 25%, secondo quanto rivela l'ultimo barometro europeo Active/Passive realizzato da Morningstar. Ciò significa che in più della metà delle categorie, solamente uno su quattro gestori è riuscito negli ultimi dieci anni ad ottenere performance superiori alla media delle strategie di gestione passive sulle quali è possibile misurarne i risultati.

Il vero dramma si riscontra nelle categorie più popolari in cui i clienti sono soliti investire in maniera più frequente, come il caso dell'azionario statunitense. In questo caso, i risultati sono particolarmente duri per l'industria attiva, con stime di successo addirittura al di sotto del 2%. Stiamo parlando sempre di una comparazione dei rendimenti netti generati dai fondi di gestione attiva a fronte del rendimento netto medio generato da un gruppo di strategie passive. I risultati più allarmanti per la gestione attiva si producono nella categoria U.S. Large Cap Growth, dove solamente lo 0,7% dei gestori ha battuto il prodotto passivo a dieci anni.

In altre parole, se un investitore a giugno del 2008 avesse deciso di investire su una strategia di gestione attiva nell'azionario americano seguendo una filosofia growth avrebbe avuto meno dell'1% di probabilità che il prodotto selezionato potesse offrire un rendimento al di sopra degli ETF. Se la decisione l'avesse presa cinque anni fa, la probabilità di batterlo sarebbe stata ugualmente scarsa (1,7%). Anche nella U.S. Large Cap Value la stima di successo dei gestori attivi è molto bassa (del 9,3% a dieci anni e del 24,7% a cinque), così come nella U.S. Large Cap Blend, con percentuali del 12,4% e del 15,8%, rispettivamente.

Tutto ciò è costato caro al settore, che ne ha pagato le conseguenze. La principale, è che l'investitore si è stancato e il denaro è inevitabilmente uscito dai fondi attivi azionari statunitensi, dirigendosi verso i fondi passivi che replicano i principali indici del mercato USA, principalmente lo S&P500. Questa è una tendenza che si è sviluppata da circa cinque anni negli Stati Uniti (ma che è arrivata anche in Europa) dove i principali fondi attivi azionari americani hanno subito deflussi di denaro.

"La gestione passiva si è convertita nell'opzione predefinita per posizionarsi sull’azionario statunitense. Arrivati a questo punto, tra gli investitori ha preso piede l'idea che cercare un gestore attivo per l'equity americano sia una perdita di tempo, e sicuramente di denaro. Tale mercato è molto efficiente e le commissioni di gestione dei fondi passivi sono minime. È un gioco da ragazzi per gli ETF", assicura José Zárate, associate director of ETF Research di Morningstar. La questione ora è capire se questa tendenza colpirà anche altre strategie core, come l'azionario europeo, in cui le stime di successo dei fondi attivi sono deludenti e in cui l’adozione degli ETF è ancora molto bassa, se confrontata.

I peggiori risultati degli ultimi dieci anni corrispondono alla categoria Europe Large Cap Blend, in cui (secondo Morningstar) solo il 16,3% dei fondi attivi ha battuto la media dei prodotti che replicano l'indice. Nella Europe Large Cap Value la percentuale è stata del 25,1%, mentre nella Europe Small Cap la stima di successo raggiunge appena il 27%. Ciò che ha dato i migliori risultati sono stati quelli della Europe ex-UK Large-Cap Equity, in cui quattro su dieci gestori attivi hanno raggiunto un rendimento netto superiore a quello ottenuto dall'ETF. Nei fondi che si focalizzano sull'Europa è raro vedere tassi di successo superiori al 40% a dieci anni. In Italia, i fondi attivi che investono in grandi compagnie e che hanno ottenuto rendimenti superiori ai prodotti passivi sono pari al 34%; al 31% in Spagna; al 38% in Francia; meno del 10% in Olanda; al 31% in Svezia e al 26% in Germania, Regno Unito e Svizzera, rispettivamente.

In effetti, in tutta l'analisi realizzata da Morningstar è difficile trovare categorie in cui il tasso di successo dei gestori attivi rispetto all'ETF superi il 50%. Ciò si riscontra solo in due casi: nei fondi equity UK, che investono in imprese di media capitalizzazione, in cui tre su quattro gestori attivi hanno battuto la media dei prodotti passivi nell'ultimo decennio; e nei fondi equity Norvegia, nei quali il 60% dei gestori attivi hanno offerto rendimenti netti superiori al rendimento netto medio generato dall'ETF. Nemmeno nel segmento obbligazionario sono stati molti i gestori attivi che hanno battuto i loro competitor passivi negli ultimi dieci anni.

In quasi tutti i casi, la stima di successo è stata al di sotto del 25%. Solamente nella categoria dell'obbligazionario corporate in dollari la percentuale di successo dei gestori attivi ha superato tale livello, raggiungendo il 35%. Nel debito pubblico europeo, la stima di gestori attivi che hanno battuto la strategia passiva è stata del 14%, in quella di Euro Diversified Bond del 15% (nella categoria di USD Diversified Bond è stata perfino peggiore, giacché solamente il 3% dei gestori attivi ha superato in rendimento la strategia passiva), e in quella dei titoli europei legati all'inflazione del 20%. Nemmeno nell'obbligazionario giapponese i risultati dei gestori attivi sono stati migliori, e solo il 9,5% di questi ha battuto la media dei prodotti a gestione passiva.

Malgrado gli scarsi risultati generati dai fondi obbligazionari a gestione attiva rispetto alle strategie passive nell'ultimo decennio, l’attuale contesto dei bond li pone in una posizione più vantaggiosa nel cercare di guadagnare il favore degli investitori in vista dei prossimi anni, soprattutto quelli più flessibili. "Per molto tempo il mercato obbligazionario è stata una scommessa unidirezionale e, per questo, favorevole per i fondi passivi. Ora che vi è la necessità di acquisire diverse posizioni, e che entra in gioco la duration del portafoglio, è più facile per un gestore attivo far valere il suo track record. In linea teorica, con i cicli monetari americano ed europeo non più così tanto relazionati, si creano nuove opportunità. Vi esiste inoltre la necessità di preparare il portafoglio obbligazionario per la fine degli stimoli monetari", conclude Zárate.