Gestori obbligazionari italiani: è tempo di high yield (parte II)

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È pensiero comune che l’high yield sia una componente obbligazionaria in questo momento necessaria per i portafogli fixed income, pur considerando i rischi a cui quest’asset class è sottoposta, visti i bassi livelli di rating degli emittenti che la compongono. A spiegare lo stato di salute dell’high yield quindi, sono i gestori obbligazionari delle più importanti realtà italiane del risparmio gestito, nella seconda parte della round table organizzata da Funds People.

Il fatto che gli spread degli high yield siano vicini ai livelli minimi da 10 anni, per Fabrizio Viola, senior portfolio manager sugli strumenti di credito investment grade di Generali Investments, si deve principalmente a tre elementi: la volatilità del mercato azionario, che persiste su livelli molto bassi; le opportunità di rifinanziamento infinite per emittenti aventi anche rating speculativi (B o CCC); e infine i tassi di default, anch’essi molto bassi data l’abbondante liquidità sul mercato. “A parte i recenti casi idiosincratici che riguardano prevalentemente il mondo bancario, soprattutto quello spagnolo e italiano, i casi di default istantaneo sono rarissimi. C’è quindi da chiedersi come questi tre elementi si muoveranno da qui in avanti. A nostro avviso, non ci sono all’orizzonte elementi significativi che potrebbero far cambiare radicalmente la volatilità dell’azionario, né opportunità di rifinanziamento delle imprese tali da far crescere il tasso di default, o addirittura avvisaglie di una imminente recessione”, spiega il gestore, che reputa l’high yield tuttora come una buona asset class da tenere nei portafogli, quasi impossibile prescinderne, e considera l’Europa leggermente più avvantaggiata rispetto all’America, fondamentalmente per due motivi, ovvero per il rialzo imminente dei tassi e per il tema del petrolio che, a detta di Viola, sta tornando a posizionarsi vicino alle soglie di break-even (40 dollari a barile) per i produttori con maggiore leva finanziaria. “Personalmente, al momento non mi sentirei di chiamare un ‘warning’ sul segmento high yield, anche perché ci sono gli strumenti per andare corti sul mercato in maniera abbastanza veloce e flessibile, ad esempio derivati di credito o i total return swap sugli indici”, conclude il fund manager.

Per Paolo Bernardelli, responsabile Fixed Income & FX di Eurizon Capital SGR, finché c’è tranquillità e ricerca del carry trade, l’high yield rappresenta un mercato in cui posizionarsi, dove il rischio di quest’asset class aumenterà quando ci si avvicinerà a una fase di recessione, che farà salire le previsioni di default delle società. “Guardando alle due aree geografiche, Europa e USA, l’economia americana è più avanti, le società high yield americane sono più vicine alla fase di rischio di surriscaldamento e di un conseguente rallentamento dell’economia; queste, stanno aumentando notevolmente il loro leverage e inoltre sono caratterizzate da livelli di rating mediamente inferiori rispetto a quelli europei. Infatti, nel mercato USA c’è una grossa componente di titoli CCC che non è presente tra i titoli europei. Inoltre, il mercato americano è caratterizzato da un beta maggiore, di conseguenza, quando il mercato complessivamente sale, il comparto USA sale più velocemente rispetto a quello europeo e viceversa. Questo è stato negli ultimi anni un ottimo elemento di diversificazione”, spiega Bernardelli. Tuttavia, da Eurizon Capital pensano che al momento convenga rimanere posizionati sul mercato europeo, essendo questo più protettivo. “Anche se il rendimento dell’high yield europeo è più basso rispetto a quello americano, a livello di spread, appare equivalente e la composizione dei rating è di gran lunga migliore rispetto a quella americana. D’altro canto, il mercato americano offre opportunità di diversificazione di portafoglio in ottica di carry trade”, conclude il gestore.

Probabilmente, a partire dall’autunno di quest’anno, il tapering in Europa comincerà a dispiegare le sue forze sull’asset class corporate in generale e, per riflesso, anche sulle componenti più rischiose con rating inferiore. A pensarla in questo modo è Carlo Bodo, responsabile dei programmi obbligazionari di Ersel AM SGR, che fa una premessa, ovvero che la BCE comincerà a ridurre gli acquisti nel primo trimestre del 2018, attorno ai 40 miliardi al mese, dai 60 attuali, con l’high yield che comincerà a scontare questa nuova realtà. “In questo momento, la componente high yield è abbastanza imprescindibile nel portafoglio obbligazionario, basti considerare il fatto che circa un terzo di tutto il mercato obbligazionario a livello europeo, esprime tassi in territorio negativo. Il rischio va gestito in modo assolutamente pervasivo, cercando di fare dell’analisi fondamentale lo strumento centrale dell’attività di gestione, scegliendo più l’emittente che la categoria del bond, piuttosto che il livello di subordinazione. Tale approccio consentirà di reggere una scossa di mercato. Proprio sapendo che si è scelto il nome corretto, e prescindendo un po’ dal timing dell’acquisto. Sicuramente, se ci sono emissioni più forti, queste possono anche essere tenute in portafoglio dato che, ‘mantenendole’, si riduce l’esposizione di credit duration, e quindi implicitamente il portafoglio diventa meno volatile nel tempo. Dopo di che l’unica cosa che si può fare è quella di utilizzare strumenti derivati per ‘hedgiare’ il portafoglio in momenti di tensione”, afferma Bodo.

Secondo Yuri Basile, responsabile del Comparto Obbligazionario di Aletti Gestielle SGR, la componente free-risk del rendimento high yield deve essere completamente coperta; mentre per quanto riguarda gli spread, per il fund manager bisogna ragionare sul fatto che le società high yield hanno avuto un miglioramento, dispongono di molta liquidità, di leverage contenuti, e hanno un facile accesso al mercato dei capitali, anche in condizioni molto vantaggiose, essendo queste price setter delle loro stesse emissioni. “L’high yield presenta anche un fattore tecnico, in cui molti titoli sono stati rifinanziati con loan bancari, quindi con un programma di emissioni nette negative rispetto a quelle a scadenza. Ci sono quindi dei fattori tecnici e corretti, che giustificano questa compressione dello spread, e scontano le migliori condizioni possibili. Nel caso queste dovessero cambiare, è ovvio che lo spread tornerebbe ad allargarsi. A mio parere, l’high yield deve essere affrontato utilizzando anche dei presidi di gestione del rischio, e soprattutto considerando che il rendimento assoluto non ripaga la possibilità che ci sia poi un default nelle asset class”, spiega Basile. Secondo Aletti Gestielle quindi, l’high yield rappresenta l’asset class più costosa rispetto alle altre, quali emergenti, piuttosto che investment grade ma, nonostante ciò, è comunque una componente irrinunciabile per raggiungere il rendimento che ci si è prefissato, che va utilizzata con molta cautela.

Anche per Anima SGR, l’high yield rappresenta un’asset class importante in questa fase di mercato, per i rendimenti che questa offre, ma che va allo stesso tempo utilizzata con qualche cautela. A spiegarlo è Luca Felli, responsabile investimenti obbligazionari e valute dell’SGR, il quale afferma che, “dal punto di vista dei fondamentali, non vedo pericoli significativi da questa asset class nell’attuale quadro macro; nel breve termine però, non sono i fondamentali a influenzare i movimenti di prezzo, ma altri fattori non controllabili e più aleatori. In altre parole, c’è il rischio che la volatilità oggi stranamente assente colpisca le obbligazioni ad alto rendimento. Questa visione ci porta a preferire, in questo segmento di mercato, titoli con rating medio e medio basso e scadenza abbastanza ravvicinata”. In un’ottica di portafoglio, per Felli, gli high yield sono un’asset class ‘matura’, sulla quale da Anima contano di mantenere o ridurre lentamente l’esposizione nella stessa, man mano che la politica monetaria anche in Europa porterà i tassi verso livelli più normali. “Guardando ai mercati americani a spread dopo il tapering, notiamo come ci sia stata un pò di volatilità, ma poi sono andati bene, perché i Treasury andavano meglio. Personalmente, il contesto post tapering europeo mi preoccupa più di quello post tapering americano del 2013”, conclude Felli.

Luca Franchi, responsabile gestioni obbligazionarie e valutarie di UBI Pramerica SGR, afferma come anche dalla società mantengano un’esposizione cauta alle obbligazioni ad alto rendimento, con un posizionamento leggermente più conservativo rispetto all’indice di riferimento. “Non immaginiamo tuttavia possibili scenari estremi nel corso dei prossimi mesi derivanti, ad esempio, da una possibile recessione o da un incremento dei tassi più rapido delle previsioni. Inoltre, la ricerca del maggior rendimento, in un contesto di tassi risk-free storicamente molto bassi, ha spinto molti investitori verso quest’asset class, che risulta di conseguenza estremamente sensibile ad eventuali flussi in uscita in caso di cambiamenti significativi nelle prospettive macroeconomiche e di politica monetaria”, spiega Franchi. Per il portfolio manager, fornire dunque all’high yield una sorta di valore sostitutivo rispetto ai fondi di liquidità del passato, risulta essere un passaggio su cui è necessaria la massima attenzione. Inoltre, nella ricerca di rendimento, un ulteriore aspetto degno di nota per il manager è rappresentato dalla flessibilità e della gestione della duration in ambito valutario, aspetto che appare assolutamente rilevante nell’attuale contesto di mercato.

Infine, anche da Euromobiliare AM SGR (Gruppo Credem) ritengono l’high yield un trend da continuare a cavalcare, dove Paolo Gandolfi, responsabile gestioni collettive a benchmark dell’SGR, evidenzia due tipologie di rischi, ovvero quello di carattere macroeconomico, una recessione, e il secondo, forse più imminente, riguarda il discorso del tapering, che rischia di spiazzare tanti player che sono entrati a caccia di rendimenti. “Diciamo che c’è una forte compiacenza in questo segmento di mercato. Il rischio che vedo più concreto, in questo momento, è quello legato alla riduzione dei bilanci delle banche centrali, il cosiddetto tapering. Fino ad oggi, ci siamo concentrati nella parte più 'safe' del segmento high yield, ovvero tra le BB e le B, su scadenze anche medio lunghe. Il tapering porterà un irripimento delle curve del credito, per cui ci prepariamo a ridurre le scadenze, probabilmente scendendo un pò di più sulla qualità del credito incluso nei portafogli. Il caveat è che la facilità con la quale le società high yield si stanno rifinanziando è anche una spiegazione del basso livello dei tassi di default. Quando tali società non dovessero essere più in grado di farlo così facilmente, allora aumenteranno i livelli di default, e anche i recovery rates saranno più bassi rispetto a quelli a cui siamo storicamente abituati”, conclude Gandolfi.