Frame AM, 10 anni alla ricerca di eccellenze di nicchia

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Da 10 anni nell’industria, una media di 50 gestori incontrati ogni anno. “Sono andato dal notaio il giorno dopo la semifinale vinta contro la Germania ai mondiali del 2006. Frame era una scatola vuota ma ho distribuito le quote fra i miei colleghi e subito ci siamo messi al lavoro. All’interno della società io sono l’architetto, quello che ha in testa i progetti, l’intuizione ma ho un bravissimo ingegnere che mi fa i calcoli, un bravissimo geometra che mi segue nel cantiere, dei bravi muratori che mi fanno i lavori”, dice orgoglioso Michele de Michelis, responsabile investimenti di Frame Asset Management, società indipendente focalizzata su gestioni patrimoniali e fondi a ritorno assoluto.

Non abbiamo fondi propri ma selezioniamo fondi per la nostra clientela. Cerchiamo storie di eccellenza nel mondo delle boutique, dove c’è una totale condivisione di interessi. Quando parli con una grande casa, non capisci mai se la view ti viene dall’investment bank, dall’asset management o dalla ricerca, non si capisce bene chi c’è dietro, nel caso delle boutique parli con un gestore che ti dice cosa sta facendo con i suoi soldi. Il mercato oggi viene fatto dal 75% dai robot e per il resto dalle persone. Prima era l’esatto contrario. Per fare un movimento di mercato ci volevano sei mesi ed adesso un paio di settimane. Cerchiamo di evitare quindi i moster funds, quelli che hanno oltre 20/30 miliardi di masse, perché hanno poca libertà di movimento. Quelli piccoli con 400, 500 milioni si possono muovere tranquillamente in quanto non sono market maker, ma sono attori del mercato che possono muoversi nei vicoli e possono scappare da più parti. Muovere delle masse enormi è difficile”. 

L’asset allocation che fanno per i loro clienti prevede la ricerca di gestori che abbiano queste caratteristiche. Quindi anche il contatto diretto con il gestore è fondamentale. In Frame hanno un protocollo operativo che parte dall’analisi quantitativa dei risultati ottenuti nelle varie situazioni di mercato. Quando un gestore di un fondo gli piace, vanno a conoscerlo personalmente e rimangono in contatto nel tempo. “Le variabili che io analizzo quando compro un fondo sono il management e il mercato. Ci sono poi paesi in cui l’approccio alla gestione è molto più avanzato rispetto all’Italia, ad esempio l’Inghilterra”, specifica De Michelis.

“Io mi sono buttato nel mondo dell’alternativo UCITS anticipando i tempi. Ho trovato delle chicche che molti non conoscevano nemmeno. Negli ultimi anni, complice la situazione economica che ha portato i tassi di interesse ai minimi, moltissimi fondi obbligazionari hanno fatto performance semplicemente stando al benchmark. Stessa cosa per i fondi equity: i mercati sono saliti, quindi ottimi risultati. L’alternativo in un contesto in cui le due categorie tradizionali vanno bene, non si fa notare moltissimo, ma è nei momenti di stress viene fuori la capacità del gestore alternativo. In un contesto in cui un fondo obbligazionario classico ha chiuso l’anno con un -2/3% e un fondo alternativo chiude ha +4%, non è che abbia fatto una super performance ma ci sono sei punti di differenza. Un fondo alternativo deve darti quello che una volta ti dava l’asset class obbligazionaria tradizionale a 18-36 mesi che oggi è praticamente finito. Di fronte ai disastri di mercato son venute fuori le vere capacità con coloro che fanno veramente alternativo (market neutral, dynamic asset allocation: Fasanar, Hellium, JB 1.2, Fenician, Artemide, per citarne alcuni).

In un contesto come quello creatosi recentemente è venuta fuori la capacità dei gestori di proteggere il portafoglio. C’è bisogno di competizione e di competenza. La grande problematica di questo momento è il porto sicuro non esiste più. La regola è che bisogna stare sempre sul mercato. I risultati si vedono almeno nel medio periodo”, conclude De Michelis.