Fotografia del private banking in Italia

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Jose Manuel mazintosh

Il private banking è una tipologia di servizio bancario destinato a uno specifico target di clientela dalle esigenze complesse e che richiede un servizio evoluto di consulenza finanziaria per una gestione personalizzata, efficiente e performante della propria ricchezza. In Italia, il profilo della clientela che si rivolge ai servizi di private banking presenta caratteristiche peculiari quali  una disponibilità finanziaria elevata (misurabile attraverso reddito e capacità di risparmiare reddito, ad esempio, possedendo immobili di proprietà senza mutuo), la capacità di comprendere i contenuti del servizio, desumibili attraverso la scolarizzazione e/o professione e un patrimonio superiore ai 500.000 euro. I dati (al 30/09/2016) fornitici dall’AIPB – Associazione Italiana di Private Banking – rivelano che nella composizione del patrimonio del cliente italiano la componente finanziaria pesa mediamente il 44%, rispetto al 39% di patrimonio immobiliare e al 17% di ricchezza reale (come arte, gioielli e beni di lusso). Le scelte della clientela target hanno così permesso agli operatori che offrono il servizio di private banking di raggiungere a settembre del 2016 un volume di masse in gestione pari a 691 miliardi di euro. 

 

Gli operatori in Italia

Nella tabella è possibile osservare la suddivisione operata dall’AIPB dei principali player italiani del settore in quattro categorie. Secondo una logica dimensionale, sono stati isolati gli operatori con patrimoni riferibili alla clientela private in gestione superiori a 20 miliardi di euro (banche universali grandi). Al secondo gruppo, poi, appartengono gli operatori esteri mentre i rimanenti sono stati a loro volta catalogati raggruppando da una parte gli operatori focalizzati principalmente sui servizi d'investimento diversi dai servizi bancari generalisti (specializzate) e dall’altra le business unit che hanno sviluppato il servizio private all’interno di banche commerciali. La quota di mercato per gruppo (vale a dire la percentuale del mercato definita in termini di masse private in gestione, calcolata sommando le masse gestite dagli operatori di ogni categoria diviso la somma della masse di tutti gli operatori che concorrono a formare il dato di mercato) è del 62,7% per le banche universali grandi, del 9,3% per quelle estere, del 12% per gli operatori  specializzati e del 16% per le business unit. 

Le quote di mercato danno un’idea della misura nella quale le diverse categorie sono penetrate, riuscendo a dominare, il mercato di riferimento. È altresì interessante citare qualche dato sull’evoluzione di tali quote dal 2015 al 2016. Dai dati elaborati dall’AIPB è emersa una lieve crescita delle banche estere, passate dall’8,6% alla fine del 2015 al 9,3% a settembre 2016. Un lievissimo calo è stato registrato invece per le banche universali grandi, passate dal 63,5% a dicembre del 2015 al 62,7% a settembre 2016 mentre si sono mantenute più o meno stabili nel tempo le banche specializzate e le business unit.

Un ulteriore dato d’interesse riguarda la diversificazione dei portafogli private per categoria di operatori. Al 30 settembre 2016, infatti, il peso maggiore in portafoglio era determinato dalla presenza di prodotti quali i fondi comuni d’investimento (22%), le gestioni patrimoniali (18,6%), i prodotti assicurativi (16,6%), la liquidità (12,6%) e i titoli di Stato (9,7%). Andando nel dettaglio della composizione di portafoglio per categoria di operatori, notiamo che i fondi comuni d’investimento (21%), i prodotti assicurativi (19,3%) e le gestioni patrimoniali (17,7%) caratterizzano maggiormente i portafogli delle banche universali grandi. Per quanto riguarda, invece, le banche estere, la diversificazione è distribuita soprattutto in gestioni patrimoniali (23,3%), fondi comuni d’investimento (20,4%) e altre obbligazioni (11,1%), mentre per le banche specializzate è articolata in gestioni patrimoniali (29,8%), fondi comuni d’investimento (23,2%) e azioni (13,4%). Infine, il portafoglio delle business unit è in gran parte costituito da fondi comuni d’investimento (25,7%), liquidità (16,2%) e prodotti assicurativi (16%).

 

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Le sfide future

Quello che l’industria del private banking sta vivendo oggi è sicuramente un momento epocale dove la combinazione delle nuove abitudini della clientela, il ruolo della tecnologia e l’approssimarsi di una normativa più severa a tutela dei consumatori – che obbligherà i player a una maggiore chiarezza e trasparenza sul valore generato, sui costi relativi al servizio offerto e in materia di conflitti d’interesse - definisce uno scenario fatto di sfide e opportunità per il settore. 

La MiFID II, che va intesa come la naturale prosecuzione della direttiva precedente (il cui merito è stato quello di spianare la strada al passaggio da una logica di prodotto a una più cliente-centrica), da gennaio 2018 determinerà un’ulteriore evoluzione del modello di business verso un concetto ben più ampio e articolato di servizio personalizzato in base alle esigenze del cliente. La vera sfida per il mercato del private banking, dunque, sarà l’adozione di un servizio di consulenza strutturato che comprenda tutte le disponibilità patrimoniali del cliente, sia in gestione diretta sia presso altri intermediari. Inoltre, la trasparenza dei prezzi porterà a una pressione sui margini per contrastare la quale le banche dovranno sviluppare servizi di consulenza più economici. 

 

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