Fausto Artoni: Siamo artigiani che stanno sul prodotto

Come si controlla il rischio? Come avete costruito il vostro modello organizzativo, anche alla luce di novità che si fanno avanti, come quello della consulenza indipendente?

Naturalmente abbiamo una struttura di Risk Management molto strutturata. Credo poi che avere, come nel nostro caso, la gestione interna sia un grande valore aggiunto. Il consulente indipendente, che lavora su piattaforma aperta, raramente conosce i gestore e spesso il cambio di gestore non viene comunicato né al consulente, né tantomeno al cliente. 

Noi, in Azimut, abbiamo creato un modello di organizzazione particolare, abbiamo eliminato la struttura verticale tra gestori. La nostra fabbrica operativa interna è fatta da artigiani che stanno sul prodotto. Non c’è turnover, abbiamo storie di gestione su singoli prodotti più lunghe di tutta Europa. Gherardo Spinola, per esempio, gestisce il fondo Azimut trend dal ‘93. 

In questi anni abbiamo aumentato le tecniche e gli stili di gestione interni, ed oggi i responsabili di prodotto del Gruppo sono circa 50. Il problema dei nostri money manager è la performance, non la carriera. La crisi finanziaria del 2008 ha rafforzato la nostra convinzione di avere una forte capacità di gestione interna e una altrettante forte diversificazione degli stili di gestione. 

 

Il fondo che investe sulle azioni italiane che lei gestisce dal 1998, a parte tre anni, ha sempre registrato buone, se non ottime performance. Qual è il suo stile di gestione e quali sono i numeri?

Complessivamente le masse gestite sui fondi specializzati in azioni italiane sono di circa 650 milioni di euro. Il mio stile di gestione è attivo e prevede un uso sia dell’analisi fondamentale che di quella tecnica, abbinata anche all’analisi di forza relativa e dei volumi. Faccio scelte decise, con l’obbiettivo di battere il benchmark. Dal ‘98 a oggi battiamo il mercato, al netto dei costi, del 130%, quest’anno di circa il 15%. In 17 anni di osservazione ho fatto peggio del mercato tre anni. Il risultato peggiore si è limitato a un meno 2% rispetto al benchmark. 

È ancora un momento giusto
per entrare nell’azionario?

L’equity resta interessante, anche in questo momento di forte volatilità. Riteniamo vi siano ancora ottime opportunità di investimento negli Stati Uniti, in Europa e in Giappone: privilegiamo società con forte capacità di generare cassa e posizione di leadership settoriale. Il mercato azionario in termini di rendimento da dividendi è molto più attraente di quello obbligazionario. 

 

Parliamo della dinamica degli utili…

In una recente ricerca di UBS  emerge che, rispetto al picco del 2007, il divario di utili tra USA e Europa non è mai stato cosi ampio nella storia. Negli USA sono il 20% più alti rispetto al picco del 2007, in Europa sono il 25% più bassi. E gli utili delle azioni italiane, rispetto al 2007, sono inferiori del 60%. Quindi il potenziale di recupero è molto ampio.

 

Quali settori considerate
più interessanti in Italia? 

Da inizio 2015 siamo fortemente investiti sul settore industriale. In particolare meccanico e in quelle società, anche di capitalizzazione media, che sono leader in un determinato settore. Alcuni esempi sono Brembo, Almplifon, Fiat, Cnh, Interpump, Datalogic. Siamo inoltre in sovrappeso sul comparto bancario, assicurativo e del risparmio gestito. Guardo con favore alle banche popolari e alle grandi banche italiane. Rispetto al settore europeo, infatti, trattano a valutazioni di forte sconto. Di recente abbiamo riportato alla neutralità il settore oil. Sottopeso strutturale sulle utility: il settore è poco sostenibile e, sull’onda dei nuovi assetti normativi, subirà pressioni negative.  

 

In sintesi, sulle capitalizzazioni più piccole non scommette nessuno… 

Ce ne sono di molto interessanti e credo, inoltre, ci sia anche una funzione sociale nel guardare alle società small cap. Il loro limite è però la liquidità.  Come società investiamo in modo preponderante in asset liquidabili in tempi brevi. Sarebbe a mio avviso opportuno guardare all’esperienza di altri Paesi europei dove è possibile investire in PMI beneficiando di un vantaggio fiscale per gli investitori di lungo termine. 

 

Qual è il turnover del fondo? Lei investe nel comparto che gestisce? 

È molto elevato, mediamente di circa 10 volte l’anno. L’analisi di momentum la faccio settimanalmente e la ricerca della forza relativa è argomento primario nella gestione del mio portafoglio che, mediamente, è posizionato su circa 60 titoli. Fa parte della policy aziendale che i gestori investano i propri risparmi nei fondi che gestiscono ed io, per esempio, investo il 25% dei miei risparmi nel fondo Trend Italia. 

 

Sull’ obbligazionario com’è posizionato?

Sono corto di bond USA per il probabile prossimo rialzo dei tassi. Mentre in Europa non abbiamo posizioni sulla parte core. Pensiamo siano interessanti le opportunità offerte dai bond ibridi che, con duration di poco superiore ai 4 anni, hanno un rendimento medio del 4,5%. 

 

E sul futuro? 

Sono abbastanza ottimista: se guardo ai dati macro economici europei e dell’Italia in particolare questo ottimismo si rafforza. I numeri esprimono un recupero di fiducia da parte sia dei consumatori che delle imprese e i dati dell’economia reale cominciano ad essere migliori delle attese. Tutto ciò ha portato ad un forte incremento degli investimenti esteri sul mercato italiano che potrebbero essere rafforzati a fronte di una riduzione della fiscalità delle aziende.