Family office: meno liquidi e più intrepidi

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foto: Flaunter

Nel 2016 il portafoglio globale delle famiglie più ricche al mondo ha reso un 7% in più, rispetto al misero 0,3 del 2015. A trainare le buone performance sono stati soprattutto gli investimenti in azioni e in private equity, che a loro volta sono stati controbilanciati dalla performance più modesta degli investimenti in immobili e hedge fund. Le azioni (27%) e il private equity (20%) rappresentano infatti quasi la metà del portafoglio d’investimento medio dei family office. Tale quota è destinata a crescere ulteriormente poiché la maggior parte dei family office prevede di mantenere (60,6%) o di aumentare (21,3%) i propri investimenti in azioni dei mercati emergenti, mentre il 40,2% e il 49,3% intendono destinare una quota maggiore rispettivamente a fondi di private equity e co-investimenti. Il quadro emerge dal Global Family Office report 2017, lo studio diffuso annualmente da Campden Wealth Research, in collaborazione con UBS. “I family office hanno saputo sfruttare la propria capacità di assumere rischi e investire nel lungo periodo, accettando sempre più l’illiquidità, proprio come altri investitori sofisticati”, ha commentato Sara Ferrari, head of Global Family Office Group, UBS SA. “I vantaggi di questo approccio più audace sono evidenti. I family office nordamericani hanno investito più di qualsiasi altra regione in strategie orientate alla crescita, una scelta strategica rivelatasi premiante vista la loro sovraperformance”.

Non manca infatti una diversa allocazione tra i family office in base all’area geografica d’interesse. Se quelli basati nel Nord America e nella regione Asia-Pacifico sono tendenzialmente orientati alla crescita, i dirigenti delle imprese in Europa e nei mercati emergenti optano invece per approccio più bilanciato: il 53,5% degli investitiori europei si mostra accorto rispetto al un 37% e un 34% di quelli rispettivamente americani e dell’area asiatica.

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Nonostante queste divergenze, il report che coinvolge 262 family office racconta come quest’anno gli investimenti in azioni dei mercati sviluppati e in via di sviluppo rappresentano il 27% del portafoglio medio delle famiglie, la percentuale più elevata tra tutte le altre asset class. Solo i titoli sui mercati sviluppati poi rappresentano il 20,4%. Guardando a livello regionale, gli stanziamenti verso azioni (mercati sviluppati) sono particolarmente importanti in Nord America (26,6%) ed Europa (20,3%) rispetto all'Asia-Pacifico (15,1%) ed Emerging Markets (8,4%). Quando si parla invece di azioni di mercato in via di sviluppo, i family office con sede in Asia-Pacifico sono quelli che hanno assegnato un livello relativamente elevato. La proporzione media dei loro portafogli in questa classe di attività è il 9,9%, rispetto al 6,7% per i mercati emergenti, il 6,1 il per l'Europa e il 5,9% per il Nord America.

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Interessante notare poi un nuovo aspetto che coinvogle direattamente i portafogli delle famiglie più ricche: l’impact investing. Secondo lo studio, oltre il 40% dei family office prevede infatti di incrementare le proprie allocazioni nell’impact investing e negli investimenti basati su criteri ESG. Dei family office già attivi in quest’ambito, il 62,5% ricorre a investimenti privati e il 56,3% al private equity. I settori preferiti in cui investire sono la formazione, la tutela ambientale e l’efficienza energetica/delle risorse. Un interesse che cresce con l’arrivo delle nuove generazioni. “Sappiamo che la generazione del millennio sta contribuendo all’adozione di investimenti sostenibili e dell’impact investing”, afferma Sara Ferrari. “Man mano che rafforzerà le proprie competenze e assumerà maggior controllo, questo tema continuerà a crescere. Questa è un’opportunità per i family office di utilizzare le loro competenze in materia di investimenti per tradurre gli obiettivi sociali in rendimenti finanziari e modellare l’intento di una famiglia”.

Criticità in vista

Sebbene nel complessivo, dunque, il saldo sia stato positivo per i family office non mancano certo delle difficoltà. Come spiega bene la direttrice della ricerca in Campden Wealth Rebecca Goochmolti di loro faticano a individuare operazioni interessanti e a trovare i giusti partner, e devono rispondere alle sfide poste dalla due diligence, poiché le proprie risorse interne sono spesso limitate. Alcuni dei family office che co-investono con successo ci hanno a loro volta riferito che effettuano le proprie operazioni avvalendosi di reti personali o scelgono di co-investire assieme a fondi per usufruire delle loro capacità di due diligence. Le famiglie che desiderano co-investire maggiormente possono valutare l’opportunità di seguire approcci simili".

Solo un terzo dei family office poi ha un piano di successione. Il rapporto esamina la questione in dettaglio ed evidenzia che quasi la metà dei family office (45,7%) non dispone ancora di un piano di successione, sebbene il 29,6% di questi afferma di essere in fase di allestimento. Un terzo (32,7%) ha già elaborato un piano di successione, mentre il 14,6% ha verbalmente concordato di predisporre un piano ma non lo ha ancora scritto.