Evoluzione dei mercati emergenti prima del protagonismo cinese

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Dalla crisi finanziaria del 2008, i mercati emergenti hanno vissuto un cambiamento. Le maggiori società della regione hanno sviluppato fonti di reddito a livello mondiale e rappresentano un'elevata percentuale dell'indice: l’investimento in queste imprese non offre più un’esposizione al consumo emergente. Tuttavia, la dipendenza dalle entrate generate a livello nazionale aumenta notevolmente con la riduzione della capitalizzazione di mercato. La domanda degli investitori che desiderano ottenere un'esposizione ai "veri mercati emergenti" ha coinciso con lo sviluppo di strategie che investono in piccole società di questi mercati: il 71% dei fondi di questa categoria è stato lanciato dopo il 2008. 

D'altro canto, anche la composizione dell'indice MSCI Emerging Markets è variata notevolmente negli ultimi dieci anni. Il peso dell'Asia emergente nell'indice di riferimento è aumentato di circa il 20% nell'ultimo decennio, a scapito dell'America Latina (-10%) e dell'Europa emergente (-10%). Lo sviluppo economico della Cina è la causa principale di questa crescita; sebbene fino ad oggi gli indici MSCI abbiano incorporato solo una piccola parte delle azioni di classe A di questo mercato, le società cinesi sono passate dal rappresentare il 14% dell'indice all’attuale 31%. Tra i fondi a gestione attiva che investono nei mercati emergenti, anche l'allocazione media al colosso asiatico è aumentata, passando dal 7 al 26%.

Per fare un confronto, nel 2008, il Brasile aveva un peso nel benchmark simile a quello della Cina. Tuttavia, i diversi tassi di crescita e i progressi tecnologici ne hanno ridotto il peso al 7%. L'allocazione ai Paesi con minore presenza nell'indice, come la Tailandia e l'Indonesia, non è praticamente cambiata negli ultimi anni. La crescente importanza del Dragone ha trasformato gli investimenti nei mercati emergenti e lo farà ancora di più quando gli indici MSCI inizieranno a includere tutte le azioni di classe A. Quando ciò accadrà, il Paese concentrerà circa il 45% dell'indice. Poiché è difficile ottenere un'esposizione ai mercati emergenti senza essere esposti alla Cina, risulta fondamentale che gli investitori della regione si formino una propria opinione su questo mercato.

 

Rendimento e valutazioni

Nei primi sette mesi del 2018, i mercati emergenti hanno perso il 4,6% contro il 3,6% dei mercati sviluppati. Questo periodo turbolento ha portato ad un allargamento del gap di valutazione tra i due: al 31 luglio 2018, le società che compongono l'MSCI Emerging Markets (NR, USD) erano scambiate a un P/E medio a 12 mesi di 11,4 volte rispetto alle 15,6 delle componenti dell’MSCI World (NR, USD). Nonostante il lieve recupero in luglio, le valutazioni dei mercati emergenti si collocano nel quartile più basso della loro gamma degli ultimi 25 anni. Tuttavia, ciò non è sufficiente per considerare che questi siano "a buon mercato": perché un investitore creda che le valutazioni dei mercati emergenti offrano un'opportunità di acquisto, dovrà pensare che gli scenari negativi che sconta il mercato siano troppo pessimisti.

L'America Latina è stata la regione che ha registrato risultati migliori nel primo trimestre, ma peggiori nel secondo. In un primo momento, i sondaggi elettorali non davano un chiaro favorito in Brasile, il che ha provocato una certa preoccupazione tra gli investitori. Il fatto che in agosto i sondaggi attribuivano un 20% di vantaggio al candidato del Partido Social Liberal (PSL) di estrema destra non ha aiutato a calmare le acque. Il leggero miglioramento registrato dai rendimenti del mercato brasiliano in luglio ha risposto principalmente al miglioramento del sentiment rispetto ai mercati emergenti e non tanto a un cambiamento fondamentale nella situazione politica ed economica del Paese.

D'altra parte, le borse della Grande Cina hanno mostrato comportamenti molto diversi: mentre il mercato azionario di Classe A ha finora perso il 25% quest'anno, l'Hang Seng ha perso solo il 5%. Tenendo conto che l'indice azionario di Classe A dipende dagli investitori retail locali, non crediamo che questa diminuzione rifletta un deterioramento dell'economia cinese, sebbene la minaccia di una guerra commerciale continui a rappresentare il principale rischio per gli investitori offshore.

 

Prospettive

Non sembra, però, che la volatilità a breve termine possa colpire i mercati brasiliani. I principali candidati hanno basato le loro campagne elettorali su questioni populiste e potrebbero averla vinta contro le avance riformiste registrate fino ad oggi. Tuttavia, si osserva come i fondamentali delle società non siano ancora peggiorati, quindi la volatilità potrebbe offrire ai gestori interessanti opportunità di acquisto nei mercati emergenti.

In Cina, oltre la logica preoccupazione per le aziende i cui ingressi dipendono dagli Stati Uniti, l'impatto sul resto dell'economia è piuttosto incerto. Un aspetto positivo è che nell’ultimo decennio il Paese ha ridotto la sua dipendenza dal commercio estero; uno degli obiettivi dell'iniziativa "Made in China 2025" è stato proprio quello di ridurre l'utilizzo di componenti prodotti all'estero nelle catene di approvvigionamento. Di conseguenza, negli ultimi dieci anni, il dato sulle esportazioni nette è passato dal 9 al 2% del PIL del Paese. Inoltre, gli USA prevedono solo il 19% delle esportazioni cinesi.

Le tensioni commerciali tra i due giganti potrebbero avere ripercussioni importanti per la regione dell'ASEAN, il che spiega il suo recente cattivo comportamento. Secondo le stime della Korea International Trade Association (KITA), in uno scenario di guerra commerciale, le esportazioni coreane potrebbero diminuire del 6,4% (36,7 miliardi di dollari). Sebbene i dazi statunitensi non abbiano un impatto diretto sulla Corea, il 79% delle sue esportazioni verso la Cina è costituito da prodotti semilavorati (come semiconduttori). Se i prodotti elettronici fossero oggetto di un nuovo ciclo di dazi e la Cina intensificasse gli sforzi per eliminare le componenti straniere dalle loro supply chain, la tecnologia coreana potrebbe subire una forte inversione.

 

Fondi

Il sentiment negativo mostrato dalle valutazioni dei mercati emergenti non si è riflesso nei flussi dei fondi. Nei primi due trimestri del 2018, i fondi aperti che investono nella regione hanno registrato una raccolta netta di 20,3 miliardi di dollari.

Per gli investitori che desiderano un'esposizione in Asia ma restano preoccupati di una possibile guerra commerciale, i fondi con stile value come l'RBC Emerging Markets Value o il Robeco Emerging Stars sono maggiormente esposti al tema del consumo interno. Per coloro che, invece, pur preoccupati desiderano comunque mantenere un'esposizione ai fattori di crescita, le strategie ad alta esposizione al settore delle tecnologie informatiche cinesi, come l’Hermes Global Emerging Markets, potrebbero essere una buona soluzione.

 

Fondo

Marchio Funds People

Vontobel Fund - mtx Sustainable Emerging Markets Leaders

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Fidelity Funds - Emerging Markets Fund

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Hermes Global Emerging Markets Fund

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Neuberger Berman Emerging Markets Equity Fund

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TT Emerging Markets Equity Fund

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Wellington Emerging Markets Equity Fund

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Candriam Equities L Emerging Markets

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Candriam SRI Equity Emerging Markets

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RBC Funds (Lux) Emerging Markets Equity Fund

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Capital Group New World Fund (LUX)

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Credit Suisse Index Fund (Lux) Equities Emerging Markets

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Edmond de Rothschild Fund - Global Emerging

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Lombard Odier Funds - Emerging High Conviction

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Morgan Stanley Investment Funds - Emerging Markets Equity Fund

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Wells Fargo (Lux) WF Emerging Markets Equity Fund

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T. Rowe Price Funds SICAV - Frontier Markets Equity Fund

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Templeton Emerging Markets Smaller Companies Fund

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