Emerging market debt, un’asset class economica e trasparente

Danilo_Verdecanna_Managing_Director_SSgA_Italia
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Le obbligazioni governative emesse da paesi in via di sviluppo (”EMD”) hanno rappresentato un’idea d’investimento vincente negli ultimi anni grazie a una politica monetaria accomodante dei paesi sviluppati, al dollaro debole, all’inflazione contenuta e alla crescita economica globale sincronizzata. Tali condizioni permangono, anche se solo in parte e con meno intensità. "È utile sottolineare che l’investimento nelle obbligazioni dei mercati emergenti non deve essere letto come un investimento puramente tattico, ma di lungo periodo e che punta sulle prospettive di crescita superiori di questi mercati", spiega Danilo Verdecanna, country manager per l'Italia di State Street Global Advisors.  

L’universo EMD è cresciuto notevolmente negli ultimi 10 anni con una forte espansione di quello in valuta locale. Secondo alcune nostre stime, a fine marzo 2018 il mercato EMD (comprensivo di tutte le regioni e le tipologie di obbligazioni) aveva una capitalizzazione complessiva pari a circa di 15.000 miliardi di USD, mentre quello investibile di 4.900 miliardi di USD, circa il doppio della capitalizzazione globale del mercato corporate high yield (non investment grade). A una crescita notevole del mercato si è associato anche un forte incremento della liquidità, con una conseguente riduzione dei costi per l’acquisto di portafogli EMD. Secondo il Liquidity Cost Score di Barclays, il costo di negoziazione degli EMD in hard currency (emissioni in dollari) è paragonabile a quello dei corporate investment grade (cioè con elevato merito di credito), mentre per l’EMD emesso in valuta locale il costo è addirittura inferiore. 

"L’evoluzione di questo mercato in termini di capitalizzazione e liquidità è sempre più apprezzata dagli investitori, che oggi trovano maggiore facilità e convenienza nell’acquisto di queste obbligazioni e possono sfruttarne i rendimenti più elevati in una prospettiva di migliore diversificazione di portafoglio", spiega il manager. 

Ma come accedere a questa asset class? "State Street Global Advisors ha sviluppato uno studio approfondito (usando il data base di Morningstar) sulle performance registrate dai portfolio manager su questa classe di attivo". I risultati sono illuminanti: al 31 marzo 2018 più dell’80% degli asset manager attivi ha fallito nel battere l’indice EMD in valuta locale a 1, 3 e 5 anni. Meno negativi sono i risultati di breve periodo, se si confrontano le performance ottenute con l’indice EMD in hard currency, dove comunque la percentuale dei gestori sottoperformanti rimane al di sopra dell’80% sui 5 anni. Le ragioni di questa strutturale incapacità sono molte e ricadono nella natura volatile e a forte spinta di tali mercati, i cui movimenti sono spesso guidati dal sentimente di conseguenza poco prevedibili attraverso l’analisi fondamentale. 

"In passato l’elevato costo di trading, la volatilità del mercato e la sua inefficienza sono stati considerati come i principali ostacoli da superare per l’uso di strategie indicizzate", spiega Verdecanna. Mentre alcuni di tali dubbi permangono, come abbiamo visto precedentemente il costo di replica si è notevolmente ridotto e le capacità gestionali si sono affinate (es. gestione del turnover dell’indice, effetto fiscale, ecc.).

Per concludere, "l’investimento in EMD, sia in valuta locale sia in dollari, dovrebbe rappresentare un investimento stabile in un portafoglio ben diversificato e proiettato nel lungo periodo, nonostante alcuni fattori contrari come il rafforzamento del dollaro e il rialzo dei tassi negli Stati Uniti. L’evoluzione del mercato EMD e i costi di transazione contenuti rendono la gestione indicizzata un modo efficiente per poter accedere a questa asset class in maniera economica e trasparente".