Educazione finanziaria, se la politica non fa abbastanza

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Commento a cura di Paolo Galvani, presidente e co-fondatore di Moneyfarm.

L’Italia avrà finalmente la sua strategia per l’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale. Il vulnus di essere l’unico Paese senza nessuna regolamentazione in materia è finalmente sanato. A febbraio il cosiddetto “Decreto salva-risparmio” ha, tra le altre cose, istituito un comitato che dovrà elaborare una strategia nazionale per far fronte all’emergenza culturale dell’analfabetismo finanziario. Nota dolente è la quantità di risorse destinate al programma. Il Senato ha deciso di dedicare al lavoro del comitato solo un milione di euro all’anno (a partire dall’anno in corso) a fronte dei 20 miliardi destinati a garantire la stabilità del sistema bancario. Se si pensa che l’industria del risparmio gestisce asset che si misurano nell’ordine dei trilioni, non si può non notare la macroscopica sproporzione. Nell’educazione, che significa tutela del risparmiatore, viene investito meno dello 0,001% di quanto gli italiani affidano all’industria finanziaria.

Fanno bene i proponenti dell’emendamento che ha introdotto la norma a felicitarsi e parlare di risultato storico. La politica aveva sempre ignorato il tema e il solo fatto di aver posto le basi per un’auspicabile inversione di tendenza è motivo di sollievo. Si spera che questo milione sia solo il primo passo a cui ne seguiranno molti altri una volta che, possibilmente in tempi celeri (si parla di giugno), la strategia sarà elaborata.

Bisogna però rilevare che, ancora una volta, dopo che le vicende cha hanno coinvolto parte del sistema bancario hanno evidenziato drammaticamente la necessità di aumentare la scolarizzazione finanziaria, la montagna ha partorito un topolino. Ancora una volta non sono state destinate risorse da utilizzare operativamente in interventi concreti, lasciando il tema alla benevolenza dei legislatori di domani. Le coperture previste dalla legge sono infatti talmente esigue che non si capisce come questo intervento da solo, al netto di tutta la buona volontà che si confida le persone e le istituzioni coinvolte nel comitato ci impiegheranno, possa fare la differenza rispetto alle tante piccole e meritevoli iniziative messe in campo da privati, associazioni di categoria, aziende, istituzioni pubbliche e del terzo settore.

La Consob ha recentemente censito 206 iniziative nel corso del triennio 2012-2014 di cui la maggior parte hanno coinvolto meno di 20 persone. Si tratta di un impulso, per quanto ancora inadeguato, certamente positivo che dovrebbe essere guidato e supportato dal Governo con fondi adeguati, come peraltro avviene per altre categorie di attività didattico-preventive come l’educazione alimentare o l’educazione sessuale.

Il livello di scolarizzazione finanziaria nel nostro Paese è basso, soprattutto se confrontato con quello di altri Paesi europei. L’Italia occupa il penultimo posto nella graduatoria dei paesi Ocse per quanto riguarda la scolarizzazione finanziaria. Uno studio recentemente pubblicato da Allianz mostra come un italiano su due abbia problemi a valutare la differenza di rischio tra l’investimento in un singolo titolo piuttosto che su un paniere diversificato, mentre uno su tre non è in grado di calcolare il tasso di interesse su una base di 100. Figuriamoci come queste persone possano comprendere un prospetto informativo o addirittura confrontare liberamente i vari prodotti offerti dai gestori. La situazione non migliora se prendiamo in considerazione le nuove generazioni: anche in questa categoria l’Italia si trova in fondo alle graduatorie Ocse.

Di fronte a questo scenario ci si stupisce come non si riescano a prendere misure decise. L’educazione finanziaria è un bene pubblico che lo Stato dovrebbe tutelare a beneficio di tutti, oltre che per garantire la protezione del singolo consumatore. Senza una precisa scelta politica la disponibilità e l’accessibilità delle competenze finanziarie di base sarà sempre meno che ottimale. Solo lo Stato può inoltre avere la visione d’insieme, l’autorità e l’imparzialità necessaria per farsi carico di questo compito. Ci sono poi i costi economici. I milioni che lo Stato ha dovuto pagare per dare il giusto risarcimento ai risparmiatori che erano stati spinti dalle banche finite in risoluzione lo scorso anno – il conto supererà i cento milioni di euro – a scegliere soluzioni di investimento irragionevoli sono solo la punta di un iceberg fatto di inefficienze e sprechi.

Un livello basso di educazione finanziaria è un rischio anche per la solidità del sistema finanziario perché spinge i capitali verso soluzioni inefficienti e contribuisce a incrementare il rischio sistemico. L’ordine senza piano diventa così l’anarchia senza rete dove opacità e raggiri possono trovare albergo. La situazione che ha preceduto il 2008, quando i mutui venivano offerti e comprati da persone che non se li potevano permettere, è molto istruttiva in questo senso. L’educazione finanziaria è poi un requisito fondamentale di una democrazia moderna. Nell’epoca in cui le leggi dell’economia diventano sempre più dirimenti per il futuro degli Stati, un’educazione finanziaria dovrebbe far parte del bagaglio di ogni cittadino. Infine, l’educazione finanziaria è importante per l’industria finanziaria stessa: per vincere la diffidenza del pubblico e creare un mercato veramente concorrenziale, dove clienti consapevoli valutano e scelgono i prodotti più adatti alle loro esigenze.

Per questo anche gli operatori del settore hanno grandi responsabilità. Noi come Moneyfarm, e non siamo fortunatamente gli unici, impegniamo molte risorse in questo senso, organizzando seminari e accompagnando i nostri clienti che ne hanno bisogno in un percorso di comprensione. Soprattutto cerchiamo di offrire soluzioni trasparenti e semplici da capire. In un mercato dove esiste ancora chi propone ai risparmiatori di investire tutto il proprio patrimonio su unico titolo, i tanti operatori seri hanno la possibilità di fare la differenza investendo nell’educazione. Aspettando che la politica entri finalmente in campo.