Dossier Intesa-Generali: una mossa difensiva e affrettata

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foto: autor ccrrii, Flickr, creative commons

L’ultima (dura) analisi arriva direttamente dal Financial Times: i piani di Intesa Sanpaolo su Generali potrebbero generare “uno dei peggiori accordi della storia”. Per il financial editor Patrick Jenkins la possibile acquisizione che si profila assomiglia molto ad una delle peggiori per l’appunto, quella di Abn Amro da parte della Royal Bank of Scotland nel 2007. L’accordo, sostiene il quotidiano, è certo “più piccolo” ma le criticità che dovrebbero suggerire una sorta di cautela da parte del management e dagli investitori ci sono tutte: la brutta tempistica, il consigliere che dirige è lo stesso (Andrea Orcel che all'epoca era in Merryll Lynch ed ora dirige Ubs), l'architettura dell'accordo è simile, l'accordo è ostile, il gruppo combinato sarebbe sistemicamente importante. Sarà. D’altronde, dopo che la più grande banca italiana ha confermato il suo interesse per Generali, portando nel giro di pochi giorni i titoli all’insù (sul titolo assicurativo, su Mediobanca - principale azionista di Generali con quasi il 13% - ed anche su Unicredit, che potrebbe cedere la sua partecipazione), adesso Piazza Affari comincia ad essere più cauta, in attesa degli sviluppi.

In banca pare si continui a lavorare e i mercati attendono qualche novità entro il fine settimana, quando i vertici si riuniranno per l’approvazione dei conti. Ma l’ad Carlo Messina ha già fatto capire che il deal su Generali non sarà in agenda. In attesa di un’offerta pubblica i rumors si susseguono: Intesa mira al Leone di Trieste per le masse del suo risparmio gestito (oltre 400 miliardi di euro) e un patrimonio immobiliare di 24 miliardi. Poi c’è la tutela del mercato locale contro i colossi stranieri, come spiega a Funds People Alessandro Allegri, amministratore delegato di Ambrosetti AM SIM. Il dossier Intesa-Generali “nasce in un momento storico particolare per il mercato italiano: da una parte c’è il mercato azionario che sta cercando di trovare serenità e riconquistare il suo appeal e un settore bancario sotto pressione che tenta di uscire da una crisi che altri Paesi non stanno vivendo. Dall’altro lato c’è un settore, quello del risparmio gestito, che fa gola e attira vari player stranieri. In mezzo arriva la mossa di Intesa verso Generali, una mossa che non piace perché fatta proprio in difesa della finanza italiana”.

È pur vero che, come sostiene Allegri, Intesa Sanpaolo potrebbe essere l’unica realtà italiana sulla carta a poter affrontare un'acquisizione del genere “Al momento non vedo altri player in Italia in grado di cimentarsi nell’operazione. Ma se andrà avanti non sarà certo un percorso facile”, ricorda. D’altronde il management di Generali non sembra favorevole (basti pensare alla mossa difensiva del Leone di Trieste che ha acquisito il 3% delle azioni di Intesa, tramite un’operazione di prestito titoli). Ma poi c’è pure una tematica legata alle reali capacità dell’istituto di credito nel sostenere l’entità. “Parliamo di una delle realtà che paga più dividendi, che ha una platea di fondazioni che necessitano un flusso di cassa. L’esborso di capitale è un impegno molto forte e porterebbe all’insostenibilità di questo flusso di cassa che l’isitituo sostiene. Il passaggio dunque è  riuscire a trovare una sorta di controcambio azionario per riuscire ad arrivare ad ottenere il controllo su Generali”. Come a dire, per certi versi non sarà un’opa tradizionale.

Se arriveranno altri pretendenti d’oltralpe probabilmente Intesa accelererà i tempi. Altrimenti, secondo l’ad di Ambrosetti AM SIM, i tempi non saranno così veloci come immaginano i mercati: “Qualche semestre o un anno” specifica e aggiunge come ad ogni modo l’idea in generale delle aggregazioni sia necessaria per la crescita del settore finanziario italiano. Nel caso specifico si “lancerebbe questa nuova creatura nel novero delle realtà più globalizzate, portandola a confrontarsi potenzialmente in maniera più competitiva con gli altri player. Non mancherebbero certo delle frizioni: c’è un problema di coefficiente patrimoniale, un modello di business diverso da risolvere. Ma prima di tutto c’è un volere politico che spinge affinché l’idea vada a buon fine pur di bloccare l’arrivo straniero”.

Atteggiamento populista? Forse, se il problema diventa più politico che gestionale. E se l’acquisizione straniera viene vista come un nemico. Meglio guardare allora ai benefici (laddove ci siano) di redditività e rendimento per gli investitori, nel momento in cui al Paese non resta che difendersi. “La situazione economica è difficile e le banche non stanno bene, nel senso che i numeri non sono particolarmente favorevoli”, afferma Allegri. “La fase di arroccamento però dovrebbe essere finita: qualcuno si è riuscito a riorganizzare, come Unicredit con il suo rinnovato piano industriale. Il futuro è più roseo ma le difficoltà sono serie e credo non siano concluse. Il fondo approvato dal governo nel caso Monte dei Paschi in fondo serve solo a spostare il problema nel tempo”, conclude l’esperto.