Criptovalute, ecco perché non possono competere con quelle tradizionali

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Antana, Flickr, Creative Commons

Solo pochi giorni fa, le ESAs pubblicavano un documento per mettere in luce i rischi per i consumatori derivanti dall’acquisto di valute virtuali. A completare la lista di motivi per i quali bisognerebbe porsi con un certo scetticismo di fronte a questo fenomeno è adesso Matteo Ramenghi, CIO di UBS WM Italy. Sono diverse, infatti, le problematiche operative che l’esperto cita e che impediscono al Bitcoin, per esempio, di imporsi come moneta di scambio.

Criptovalute vs valute tradizionali
Il vantaggio competitivo determinante di una valuta tradizionale è che può essere utilizzata per pagare le tasse. “Il pagamento delle imposte, infatti, è la transazione che, cumulativamente, ha il maggior volume in un’economia”. In teoria, continua Ramenghi, una transazione potrebbe avvenire utilizzando criptovalute, ma dovrebbe poi essere convertita nella valuta utilizzata per pagare le imposte, lasciando a carico del venditore un importante rischio di cambio. Trattandosi poi di valute non regolate e difficilmente monitorabili, non è facile comprendere la giurisdizione di una transazione, il che rende quasi impossibile verificare l’origine dei flussi monetari.

Il secondo ruolo di una valuta, poi, è quello di conservare il proprio valore. “Una moneta deve creare fiducia sul fatto che il proprio valore sia sufficientemente stabile. Per le valute tradizionali questo viene presidiato dalle Banche centrali mentre le criptovalute sono soggette a una volatilità molto superiore”.

Bolla speculativa
“Siamo abbastanza scettici sul futuro delle criptovalute come mezzo di pagamento e riserva di valore”, dichiara il responsabile. “Lo scorso anno molti entusiasti delle criptovalute sostenevano che si trattasse di un bene rifugio alternativo all’oro, per via del numero finito di unità che gli avrebbe dato proprietà difensive. Alla prova dei fatti, ovvero con la correzione dei mercati delle ultime settimane, non si è certamente rivelato tale”, spiega il CIO. “Oggi non è possibile valutare le criptovalute da un punto di vista fondamentale ma, sulla base delle informazioni disponibili, ci sembrano una bolla speculativa”, conclude Ramenghi.