Cosa c'è dietro la caduta del petrolio?

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Glenn Beltz, Flickr, Creative_Commons

Il prezzo del petrolio è in calo già da sei settimane. Dagli 85 dollari dei primi di ottobre è passato infatti ai ‘volatili’ 65 dollari di questi giorni, un barile di Brent, la misura di riferimento in Europa, ha vissuto la sua più grande caduta dei prezzi dalla crisi delle materie prime del 2015. Ma come si spiega? Qualcosa sembra essere cambiato nell'interpretazione del mercato e gli asset manager internazionali hanno diverse teorie al riguardo.

"L'OPEC ha guadagnato credibilità in termini di Paesi membri che si attengono alle quote di produzione dichiarate", afferma Darwei Kung, head of Commodities di DWS. "Tuttavia, il regime delle quote termina quest'anno”. Con fattori quali l'incertezza dell'efficacia della sanzione iraniana, l'aumento della produzione da parte della Russia e dell'Arabia Saudita e l’imminente risoluzione dei problemi produttivi in Paesi come Libia e Nigeria, la credibilità conquistata dall'OPEC ha ripreso a vacillare.

Anche la spiegazione di Julius Baer segue su questa linea. Norbert Ruecker, head of Macro Analysis and Commodities dell’asset manager, è sorpreso di vedere una correzione tenendo conto che l'embargo sull'Iran sia efficace solo da una settimana a questa parte. "All'improvviso c'è un'interpretazione diversa dell'incertezza dell'offerta nel mercato del greggio", afferma. Se negli ultimi mesi il greggio è volato a causa del focus sull’Iran e delle difficoltà di produzione del Venezuela, ora il mercato è preoccupato per l'eccesso di offerta. Il denaro speculativo è improvvisamente passato dall’assumere un posizionamento long a quello short.

Ciò non significa che non vi siano fattori fondamentali che supportino il fatto di essere ribassisti col petrolio. Come ricorda Ruecker, le petro-nazioni, guidate da Arabia Saudita e Russia, hanno aperto i loro rubinetti e anche la Libia, colpita dalla guerra, ha sorpreso con la sua produzione. E intanto negli Stati Uniti il boom del petrolio prosegue. Le scorte americane sono aumentate al ritmo più veloce in cinque anni

E la differenza totale di 6 mesi tra offerta e domanda indica ulteriori punti deboli per il futuro, come rivela il seguente grafico di DWS:

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L'impatto positivo di un petrolio più economico

Ma non tutta la lettura del calo dei prezzi deve essere interpretata negativamente. Come ben sottolineato nel Market Insights di J.P.Morgan AM, l'aumento dell’energia fino a metà anno è stato un ostacolo alla crescita del consumo reale nell’Eurozona. "Ora che il prezzo del petrolio ha subito qualche correzione, se continua ad essere stabile o addirittura inferiore, nei prossimi mesi, dovremmo iniziare a veder diminuire il contributo dei costi di energia all'inflazione", affermano dall’asset manager americano. A loro parere, la pressione sul consumatore dovrebbe essere alleviata e sostenere i salari reali e, quindi, la crescita dei consumi nell’Eurozona.

Kung è d'accordo su quest'ultimo punto. Il petrolio più costoso tende a far salire l'inflazione e può indurre le Banche centrali a politiche monetarie più severe. D’altra parte, ora anche un calo del prezzo provoca preoccupazioni. “Accontentare tutti non è mai facile, come dice il vecchio proverbio”, conclude Kung.

Un greggio a 100 dollari?

Il consenso generale è che il petrolio sia limitato tanto verso l'alto quanto verso il basso. Per Jon Anderson, head of Commodities di Vontobel AM, il suo scenario di base per il Brent è che questo si muoverà tra i 65-85 dollari al barile. Ma vede anche argomenti che potrebbero portare il greggio a toccare la soglia dei 100 dollari.

Negli ultimi mesi, le raffinerie stanno aumentando la produzione dopo un periodo di intensa manutenzione, il che aumenta la domanda di petrolio. D'altro canto, dopo le elezioni mid-term, Trump potrebbe cambiare la sua posizione a favore dei prezzi per sostenere sanzioni più severe sull'Iran, riducendo l'offerta mondiale. Nelle sue mani vi è anche la disputa commerciale con la Cina; un altro fattore che darebbe ali alla domanda e ai prezzi, così come una Fed meno aggressiva. "Ovviamente, ciò avverrebbe solo in caso di interruzione tra i 0,5 e 1 milioni di barili dell'offerta globale, poiché la capacità di riserva minima non potrebbe compensare questo divario", spiega Anderson.