Condizione necessaria ma non sufficiente

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Utilizzando un linguaggio preso della matematica, per inserire una nuova posizione in un portafoglio di investimento è condizione necessaria che questa sia capace di migliorare il profilo di rischio del portafoglio complessivo e quindi sia decorrelata dagli altri titoli già presenti in portafoglio. La capacità di diversificare è condizione necessaria per migliorare il profilo di rischio di un portafoglio, ma non è detto che sia condizione sufficiente per far sì che il titolo venga inserito. Vanno fatte anche considerazioni di redditività potenziale del titolo.
 
Una delle conseguenze di anni di quantitative easing (esplicito in Giappone e USA, blando in Eurozona) è stata quella di agevolare una salita, più o meno continua, dei principali mercati obbligazionari e azionari globali. Dal 2011 in poi sono saliti i mercati azionari e obbligazionari in area sviluppata ed emergente, i titoli societari investment grade e speculativi… e per un investitore che fa asset allocation diventa difficile trovare un mercato che non sia salito come gli altri. Secondo alcuni analisti infatti viviamo in un’epoca caratterizzata da lunghe fasi di “risk-on”, dove sale tutto, alternata a fasi di “risk-off”, dove scende tutto, cosicché creare un portafoglio adatto a tutte le fasi di mercato diventa difficile.
 
Nessun investitore può ad esempio ignorare quanto sta succedendo sul mercato delle materie prime, dove i prezzi da qualche trimestre scendono, nonostante il quantitative easing e la ripresa americana. Tutti i principali componenti del mercato delle materie prime (energia, agricoltura, metalli industriali, metalli preziosi) stanno subendo cali di prezzo, con motivazioni di vario tipo.
La ripresa americana c’è e gli Stati Uniti sono ormai capaci di prodursi l’energia di cui necessitano, per cui non sussiste un problema di carenza di offerta di petrolio. L’Arabia Saudita sta addirittura agevolando il calo del prezzo del greggio che produce, secondo alcuni analisti per riconquistare quote di mercato da Russia e Venezuela.
 
La crisi finanziaria del 2008-2011 sembra superata, almeno nella sua fase più acuta, per cui anche il ciclo positivo dell’oro, dal 2000 al 2013, sembra finito. Sui metalli industriali, basta dire che il 30% della produzione di acciaio degli ultimi anni è servita per finanziare il boom edilizio cinese, giunto al capolinea se non ad una conclamata fase di crisi. Nel caso dei beni agricoli, la produzione è ai massimi da anni. Il calo dei prezzi delle materie prime ha quindi delle ragioni fondamentali ben precise che non vanno sottovalutate. Per chi investe in singole materie prime, ogni materiale ha caratteristiche specifiche e andrebbe studiato singolarmente. Per chi fa asset allocation e si affida ad indici generici sulle materie prime, alcune considerazioni d’insieme possono essere fatte.

La forza del dollaro e la debolezza delle materie prime sono in qualche modo collegate: se il dollaro è caro, il prezzo in dollari delle materie prime tende a scendere perché scende marginalmente la domanda di aziende, ad esempio basata in Eurozona, che devono comprare l’acciaio quotato in dollari. L’atteso rialzo dei tassi negli Stati Uniti è negativo per l’oro: il rialzo dei tassi, in particolare reali (ossia al netto dell’inflazione), implica che il denaro tornerà ad avere un costo e che i risparmiatori potranno vedere i propri investimenti remunerati adeguatamente e non sentirsi in balia di debitori che hanno preso il controllo della printing press.

Qualcosa però non torna.

Le materie prime sono considerate tipicamente un termometro del ciclo economico, ossia tendono a diventare care man mano che la ripresa globale matura. Il fatto che il prezzo stia scendendo potrebbe essere un segnale che la ripresa globale non è così forte. In tal caso, sarebbe un male minore avere in portafoglio una materia prima a prezzi bassi piuttosto che un indice azionario sui massimi da anni. I tassi reali negli Stati Uniti e Gran Bretagna potrebbero essere destinati a salire, ma la strada è lunga e nel resto del mondo sviluppato il quantitative easing è ancora una realtà. Quando si parla di inflazione o deflazione, si fa riferimento spesso ai prezzi al consumo o ai salari, che attualmente nel mondo crescono poco. In realtà da anni stiamo vivendo in un contesto di forte inflazione dei beni mobiliari (investimenti azionari, obbligazionari) e di alcuni mercati immobiliari (case in Inghilterra). Governi e Banche Centrali stanno dicendo ormai a gran voce che preferiscono avere un rialzo dei prezzi al consumo e dei salari, piuttosto che un ribasso dei prezzi sui mercati finanziari. Le materie prime, diversamente dagli anni ‘70, non saranno la sorgente primaria di futura inflazione, ma potrebbero essere uno degli ultimi strumenti di copertura dall’inflazione per chi investe su mercati finanziari cari e dove la copertura certa da questo rischio non esiste.