Come risparmiare nella scelta di un fondo

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Hernán Piñera, Flickr, Creative Commons

Se chiedessimo ad un investitore cosa sceglierebbe se gli offrissimo un fondo caro ma che ha ottenuto un buon rendimento in passato o uno più economico ma che ha realizzato una performance inferiore alla media della sua categoria, probabilmente l'investitore sceglierebbe il primo. Se rivolgessimo la stessa domanda a Morningstar, la risposta sarebbe senza dubbio il più economico. "Di tutti i fattori che possiamo immaginare per valutare un fondo (performance passata, la capacità del gestore, la volatilità, etc.), quello con maggiore impatto sulla redditività futura è chiaramente il costo totale del prodotto", spiega Fernando Luque, senior financial editor di Morningstar. E aggiunge: " L'impatto delle commissioni sul rendimento totale del fondo è particolarmente rilevante se abbiamo in mente un investimento di lungo termine". 

In soccorso dell'investitore però arriva MiFID II. Infatti una delle conseguenze più dirette dell'applicazione della direttiva a partire dall'anno prossimo ha a che fare proprio con la trasparenza relativa ai costi pagati dai sottoscrittori di fondi. Infatti gli investitori avranno a loro disposizione maggiori informazioni circa il totale delle commissioni pagate e la loro scomposizione. A lungo andare l'investitore sarà sempre più consapevole dei costi che sta pagando e la commissione sarà un criterio chiave nella scelta di un prodotto.

Quando l'intermediario è un attore costoso

Quando si acquista un fondo, si ha la possibilità di farlo in diverse versioni: le cosiddette share class o classi di azioni, che possono differenziarsi per la valuta di denominazione (euro, dollaro usa, etc.); per la presenza della copertura del cambio o per la copertura del rischio di tasso (più raramente). Ma c’è un fattore che differenzia ancora di più le share class: il costo. Infatti la divisione più importante tra le share class è quella tra istituzionali o retail. Nel primo caso si tratta delle classi di fondi offerte di norma all’investitore privato, ad esempio sulle piattaforme online o tramite i promotori finanziari, che hanno un costo più alto mentre le classi istituzionali sono quelle acquistabili dagli operatori professionali (investitori istituzionali) che hanno un costo ridotto. "La differenza di costo tra la classe retail e la classe istituzionale, nasce proprio nella presenza, o meno, della figura dell’intermediario", spiega Giovanni Folgori, founder & CIO di Euclidea SIM. "Il promotore finanziario, che si colloca tra l’investitore e il gestore, percepisce per il suo servizio una remunerazione che si traduce in un costo che il risparmiatore deve sostenere andando così a diminuire il proprio rendimento. Nel caso di una gestione patrimoniale senza intermediari, in cui vengono selezionati fondi istituzionali a favore di quelli retail, questo costo scompare e l’investimento, in fondi di pari qualità, vedrà sostenuti costi minori".

Perché, quindi, non tutti gli investitori scelgono di investire in classi istituzionali?

"Non per tutti è possibile investire in classi istituzionali, questo perché le classi istituzionali sono accessibili, come suggerisce il nome stesso, solo ad investitori istituzionali (fondi pensione, assicurazioni, SIM, SGR, etc.) e il taglio minimo di investimento è di norma 1 milione di euro. Le classi retail sono invece dedicate ai singoli investitori e richiedono un investimento minimo ridotto", spiega Folgori che conclude con una similitudine: "È come avere la possibilità di acquistare all’ingrosso (classe istituzionale) o al dettaglio (classe retail)".