Brexit, le implicazioni sull'Unione europea

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A poco meno di un mese dal prossimo 23 giugno, emozione e sentiment giocano un ruolo molto importante all'interno della partita Regno Unito vs Unione europea. La possibile rottura di una parnteship politica di Londra con gli altri 27 Paesi non è cosa da poco. Ma sembra anche piuttosto complicato individuarne per tempo i probabili effetti: la verità è che nessun analista o casa d'investimento sa come andrà a finire la partita, né tantomeno cosa accadrebbe nel caso della cosiddetta Brexit, come sottolinea, ad esempio, Gianluca Ferretti, portfolio manager di Anima SGR"È sicuramente un rischio all’orizzonte, che probabilmente renderà più nervosi i mercati a ridosso del 23 giugno. Ci aspettiamo, pertanto, una possibile maggiore volatilità e alla luce dei sondaggi attuali che non evidenziano ancora la prevalenza di un fronte piuttosto che di un altro, preferiamo mantenere sulla sterlina una posizione in linea con il benchmark, nell’intorno del 2%".

I pro o i contro del voto britannico

Possibili vantaggi Possibili svantaggi
Minore regolamentazione Possibili tariffe sulle esportazioni nei confronti dell'UE
Risparmi sui contributi europei Perdita di accesso al mercato unico
Possibilità di stringere nuovi accordi commerciali Danni all'industria finanziaria
Politica di immigrazione basata sulle competenze Calo degli investimenti dettato dall'incertezza

 

Secondo Phlilippe Waechter, chief economist di Natixis AM "nel complesso la Brexit inciderà sulla struttura economica del Paese. È probabile che molti prodotti finanziari scambiati a Londra tramite il passaporto europeo non saranno più disponibili. I meccanismi di compensazione nel mercato dell'euro avvengono principalmente nella City. Nel caso del Brexit tale situazione non sarebbe più accettabile per i membri della zona euro. Tali mercati si sposteranno nuovamente nel Continente. Ciò avrebbe un grande effetto marginale sul PIL britannico".

Che un'eventuale Brexit sia più negativa per il Regno Unito che per l'Unione lo dicono anche da NN Investment Partners. Secondo Valentijn van Nieuwenhuijzen, chief strategist and head of Multiasset della società "le esportazioni verso gli altri Paesi membri rappresentano generalmente circa il 12% del PIL del Regno Unito, mentre le esportazioni dei Paesi UE verso il Regno Unito rappresentano il 2-3% del PIL. Una Brexit comporterebbe quindi un colpo irripetibile al livello delle esportazioni e potrebbe avvicinare pericolosamente il Paese a una recessione. Inoltre, potrebbe anche verificarsi una perdita significativa degli investimenti esteri diretti nel Regno Unito, mentre gli investitori internazionali potrebbero richiedere un premio al rischio maggiore sugli asset UK e la sterlina potrebbe subire ulteriori deprezzamenti".

Eppure il rischio (politico ed economico che sia)  non è da circoscriversi solo entro i confini del britannici. Per Pictet Asset Management,  ad esempio, le ricadute sui Paesi europei non sarebbero da meno. "Il rischio maggiore è un effetto domino che, a partire dal caso inglese, potrebbe scatenare le forze antieuropeiste già diffuse nel Vecchio Continente", afferma Andrea Delitala, head of investments advisory. "Ma crediamo che anche l’impatto sui mercati non sarebbe trascurabile: se l’azionario è meno difeso ma anche meno vulnerabile - perché prezza già una situazione abbastanza realistica - l’obbligazionario è difeso dai meccanismi della Bce, ma questi iniziano a vacillare".

"Prendiamo il differenziale tra il nostro BTP decennale e il BUND tedesco" continua Delitala. "Lo spread ha avuto una mutazione da quando ha abbandonato area 180-200 pb: se prima era un rischio di credito remunerato da quella percentuale, poi è diventato qualcos’altro. Per usare la definizione del presidente della BCE, Mario Draghi, si è trasformato nel cosiddetto 'ridenomination risk', ovvero la probabilità che l’Italia divorzi valutariamente dalla Germania - ipotesi di cui chiaramente lo stesso spread risentirebbe. Ebbene: ipotizziamo ora che a un certo punto le forze centrifughe in Europa si rimettano in moto facendo riemergere i populismi, e che il mercato ci creda almeno un po’ – diciamo che prezzi il 5% la probabilità che l’Italia esca dall’euro. Faccio un conto rozzo: il rischio di svalutazione è più o meno al 30% - almeno finché l’Italia non diventa più competitiva - e noi prezziamo al 5% la probabilità di prendersi questa perdita del 30%: in questo caso lo spread si potrebbe dilatare di 150 pb dai livelli attuali. Una bella botta. Certo, non è detto che la situazione si sviluppi per forza così, ma se dovessimo dire qual è il worst case scenario dopo Brexit, potremmo supporre uno spread a 250 punti base".

In caso di Brexit, Marco Jean Aboav, macro portfolio manager di MoneyFarm pensa infine che "data l’incertezza sarà probabilmente un periodo difficile per quanto riguarda l’azionario, pertanto le azioni ad elevati dividendi, tipicamente presenti in settori difensivi, potrebbero sovraperformare altri indici azionari.  Per quanto riguarda il reddito fisso potrebbe essere rischioso possedere i titoli di Stato del Regno Unito; quando la paura nel mercato è elevata potremmo preferire i titoli di Stato tedeschi poiché considerati più sicuri. Sulle valute probabilmente la sterlina soffrirà molto, ma anche l’euro potrebbe trovarsi ad affrontare un periodo difficile a causa di potenziali implicazioni politiche ed economiche all’interno della zona Euro. L’oro, per le sue caratteristiche di essere considerato un bene rifugio e non una 'moneta' a corso legale, potrebbe apprezzarsi notevolmente".