Brexit, l’articolo 50 peserà sulla domanda interna

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Commento a cura di Antonio Sidoti, director of Italian Sales di WisdomTree.

Theresa May sta per aprire i negoziati per la Brexit presentando una lunga lista di richieste. Tra le priorità del primo ministro britannico emergono la definizione di un nuovo accordo commerciale, la ripresa del controllo sull’immigrazione e il ritorno alla sovranità legislativa nazionale. Tuttavia, mentre il governo continua a sperare in un accordo favorevole, gli asset nazionali restano decisamente a rischio per via del clima d’incertezza che aleggia sul fronte macro-economico. Ad apparire più protette da questi rischi sono, ironia della sorte, le esposizioni sull’azionario britannico in senso ampio, soprattutto i dividendi.

Strada spianata verso una hard Brexit

Con le elezioni appena concluse in Olanda, e con la Francia, la Germania e l’Italia che andranno ai seggi nei prossimi diciotto mesi, l’UE potrebbe optare per la linea dura, non volendo dare un’immagine di debolezza. Pertanto l’Unione Europea non offrirà molto margine di manovra al Regno Unito nel timore d’incoraggiare la diffusione della retorica populista anche in altri Paesi europei. Ciò significa che risulterà quasi impossibile per il governo britannico ottenere condizioni favorevoli sulla maggior parte, se non tutti, gli attuali obiettivi di Brexit. Salva la possibilità di ricalibrare le richieste di conseguenza, il Regno Unito si trova di fronte alla poco allettante prospettiva di vedersi proporre un accordo svantaggioso – o addirittura nessun tipo di accordo.

A tale proposito, le pressioni su Theresa May affinché riveda gli obiettivi per l’uscita dall’Unione Europea proverranno unicamente dallo stesso Regno Unito, ma è improbabile che siano esercitate dai membri filo-europeisti o conservatori pro-Brexit del suo stesso partito. La recente destituzione di Lord Heseltine – ex vice-premier dei Tory e consulente governativo - in seguito al suo voto contrario, sottolinea la volontà di Theresa May di mantenere una ferrea disciplina di partito, stroncando sul nascere eventuali dissensi interni.  

A questo punto, le pressioni esercitate dall’opposizione rappresentano l’unico ostacolo realisticamente ipotizzabile all’ideologia della Brexit propugnata dal primo ministro britannico. Allo stato attuale, i nazionalisti scozzesi costituiscono un pericolo ben maggiore del Partito laburista, visto che la prospettiva di un secondo referendum sull’indipendenza della Scozia rappresenta per il governo un’ulteriore fonte di preoccupante incertezza. Una simultanea spaccatura del Paese su più fronti, anche solo ipotetica, potrebbe sferrare il colpo di grazia all’insistenza del governo affinché si proceda a una rottura netta con l’UE.

Austerity destinata a continuare nel clima d’incertezza dovuto alla Brexit

Alla luce dell’imminente rischio politico, anche i rischi che l’attività economica dovrà affrontare in Regno Unito nei prossimi anni non sono da sottovalutare. L’Office for Budget Responsibility (OBR) prevede il rallentamento del PIL nel 2017, in conseguenza soprattutto del calo della domanda interna (costituita dai consumi delle famiglie, dagli investimenti privati e dalla spesa pubblica), con una diminuzione dei contributi trimestrali complessivi al PIL nell’ordine dello 0,1% per il 2017 (indicata dal riquadro in azzurro del Grafico 1), equivalente ad oltre lo 0,4% annuo su base annualizzata.  

A fronte della decelerazione dell’economia, il ministro delle Finanze inglese non si è sbottonato riguardo alla prossima strategia economica, mentre la manovra finanziaria di primavera (il cosiddetto spring budget) non evidenzia nessuno stimolo pre-Brexit alla spesa. Al contrario, il governo ha riconfermato il sostegno all’austerity, impegnandosi a mantenere gli obiettivi di riduzione del deficit ben oltre la scadenza del mandato. Ciò indica che non è stata pianificata nessuna correzione in termini di politica fiscale e che quindi l’austerità è destinata a continuare nel clima d’incertezza dovuto alla Brexit.

Tuttavia, lo scenario pronosticato dall’OBR implica una soft Brexit, con un graduale deterioramento dei commerci spalmato lungo un periodo di dieci anni e senza considerare il conto finale, potenzialmente salato, dell’uscita dall’Unione Europea. Si tratta pertanto di uno scenario più ottimistico per il Regno Unito, con conseguenze economiche modeste. Poiché non si può escludere l’eventualità di una hard Brexit, sussiste il rischio di ripercussioni consistenti sull’attività economica britannica. In tale contesto, potrebbero aumentare le probabilità di un allentamento delle misure di austerity.

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Un simile provvedimento indubbiamente sposterebbe alla prossima legislatura la scadenza entro la quale cancellare il deficit e minerebbe la politica fiscale di Philip Hammond. Ma in assenza di evidenti fattori di traino alla crescita, una minore austerità per un periodo più lungo potrebbe essere necessaria a controbilanciare l’indebolimento della domanda interna. Stanno già emergendo i primi segnali di debolezza dei consumi, con la crescita delle vendite al dettaglio nel mese di gennaio, anno su anno, al minimo dal 2013. Anche gli investimenti privati appaiono fragili: le mid/small cap britanniche devono infatti affrontare una triplice morsa, strette tra l’aumento dei costi delle importazioni, l’aumento dei salari e l’aumento dei tassi per le aziende.  In concomitanza ad un rallentamento dell’attività più ampio e profondo, supportato da dati dell’Indice dei direttori d’acquisto (PMI – Purchasing Managers Index) più fiacchi nel 2017, al cancelliere potrebbe essere richiesto di allentare i cordoni della borsa anziché stringerli.

Asset allocation: rialzisti sulle aziende esportatrici britanniche, ribassisti sui Gilt e l’azionario nazionale

Il perseguimento della posizione ideologica di Theresa May sulla Brexit intensificherà le pressioni macro-economiche per il Regno Unito nel breve periodo. Un nuovo deprezzamento della sterlina dovuto alle incertezze dei commerci graverà sui Gilt e sul loro status di porto sicuro. Anche una forte spinta all’indipendenza scozzese potrebbe a sua volta rappresentare una fonte aggiuntiva di preoccupazione per gli investitori nei titoli di Stato britannici. In un contesto macro-economico così fragile, gli investitori potrebbero considerare interessante la diversificazione delle proprie allocazioni sull’azionario britannico. In particolare, i 'panieri' di titoli britannici che distribuiscono dividendi con un’elevata esposizione alle multinazionali del Paese potrebbero offrire opportunità migliori, poiché il ribasso della sterlina incentiverà gli utili esteri.