Big player internazionali in Italia: i fenomeni di educational (ultima parte)

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L’impatto che avrà MiFID II, nel settore del risparmio gestito, andrà senz’altro ad impattare anche su tematiche legate all’educazione finanziaria della clientela; l’educational è stato quindi il tema oggetto dell’ultima parte della tavola rotonda organizzata da Funds People, con i country head di alcuni dei maggiori player internazionali presenti in Italia, insieme ad Allfunds.

Dal punto di vista di Licia Megliani, country head Italia della piattaforma di investimento leader in Europa Allfunds Bank S.A., un tema molto importante relativamente all’implementazione della normativa MiFID II poteva essere la possibilità che le indicazioni di target market di riferimento, che le case di gestione sono tenute a dare relativamente a ciascun prodotto, spostasse il focus da una logica di portafoglio a una logica di prodotto. A detta del country head, per il mercato italiano, che ha molto lavorato nel corso degli ultimi dieci anni, dall’implementazione della normativa MiFID I, a promuovere concetti di portafoglio piuttosto che di singolo prodotto, questo poteva rappresentare un rischio di irrigidimento nelle decisioni di investimento, per evitare quindi scelte di diversificazione premianti a livello di portafoglio, ma penalizzanti a livello di singolo strumento. “Le indicazioni ricevute dall’autorità Europea hanno però chiarito i principali dubbi, permettendo alla logica di portafoglio di prevalere su quella di prodotto, confermando un approccio già consolidato nel mercato italiano, e cancellando il rischio di dover intervenire su sistemi informativi di analisi e gestione evoluti già oggi operativi per i collocatori e gestori italiani”, afferma Megliani.

Cedole e multi-asset

In Italia, il canale dei consulenti finanziari ha avuto sicuramente il merito di affrontare certe dinamiche in funzione dell’asset allocation sottostante dei propri clienti. Tuttavia, le evidenze mostrano come il cliente italiano rimanga tuttora molto ancorato al fixed income che, per Lorenzo Alfieri, country head Italia di J.P. Morgan Asset Management, questa tendenza può essere compensata solo da strumenti che offrano anche la cosiddetta cedola. “Il concetto di cedola è stato quindi molto premiante, ed ha caratterizzato l’evoluzione dei mercati distributivi in Italia e non solo. Il grande lavoro che è stato fatto dai professionisti (consulenti finanziari, private bankers, reti retail, e quindi filiali, e nell’ultimo anno anche le reti agenziali e assicurative) è stato quello di cercare di trasformare il portafoglio dei clienti verso una maggiore diversificazione e un’eventuale maggiore assunzione di rischio, e soprattutto verso portafogli flessibili e multi-asset, che rappresenta la categoria più ampia”, spiega il manager.

Per Alfieri, questi prodotti rappresentano ormai la parte core dei portafogli, in qualche modo suggeriti dai vari canali. “Queste sono indicazioni molto importanti di un’evoluzione che deve proseguire e che sicuramente non si è conclusa, ma che rappresenta comunque un primo passaggio verso un approccio diverso rispetto al passato. In generale, il prodotto multi-asset assolve la propria funzione nel medio termine, e il fatto che, purtroppo, il cliente lo venda alla prima correzione è una questione a parte. Ad ogni modo, questo rappresenta un passaggio importante, e credo che i risultati di riallocazione verso l’equity puro siano abbastanza deludenti, soprattutto alla luce delle performance che quest’asset class ha avuto negli ultimi due o tre anni”, afferma il manager.

Alberto D’Avenia, country head Italia di Allianz Global Investors, fa notare come i portafogli che hanno sostenuto maggiormente i flussi di Assogestioni degli ultimi quattro anni, siano quelli a target maturity. “In realtà, una buona componente di questi flussi è stata raccolta attraverso strumenti che di fatto mutuano la caratteristica chiave dello strumento principe nei portafogli italiani, cioé gli strumenti a cedola. Negli ultimi anni, però, questo prodotto ha registrato un significativo calo dei rendimenti con il conseguente ampliamento verso una componente azionaria, sia tramite opzioni che investimenti”, spiega il country head, che sostiene come il concetto di maturity secca della soluzione di investimento, si sia quindi spostato verso un concetto di holding period, in cui le simulazioni mostrassero come i 5, i 6 e i 7 anni fossero appunto l’holding period ideale per pagare una cedola ed avere, con un buon livello di probabilità, la restituzione del capitale.

D’Avenia ci tiene inoltre a precisare due temi importanti: la tematica dell’intelligenza artificiale, che sicuramente comincia a destare molto interesse da parte delle case di investimento e dei distributori, e, in linea con Alfieri, la selezione di prodotti multi-asset nella componente obbligazionaria. “Per quanto riguarda i portafogli della clientela, non è sempre agevole spiegare ai propri clienti che diversificare in modo serio implica un portafoglio di 10-12 prodotti. Il cliente tende sempre a ricercare una soluzione di investimento unita a due-tre temi beta e a un ETF, che possa portare ad un portafoglio molto solido in un orizzonte temporale di investimento di 3-5 anni. Ciò crea trend temporanei, portando una determinata casa di gestione a raccogliere oltre le proprie attese e non sempre mantenere le proprie aspettative”, conclude il manager.

Real asset da global city

Una distinzione importante la fa Luca Tenani, country head Italia di Schroders Asset Management, tra fund buyer, che vedono gli asset manager come fornitori di ‘mattoncini da impacchettare’ in altri prodotti, e i clienti, per cui gli asset manager rappresentano fornitori di soluzioni a 360 gradi per soddisfare le esigenze finali, come protezione e income. Secondo Tenani, oggi si nota ancora grande interesse verso strategie legate al credito ma, rispetto al passato, gestito in maniera meno direzionale, bensì in modo più flessibile o addirittura in una logica di absolute return.

A detta del manager, un tema sul quale invece non esiste ancora una domanda forte, ma c’è da parte dei player una spinta proattiva, è legato a quello degli asset reali gestiti in maniera decorrelata e non convenzionale, mirati a dare una risposta agli investitori preoccupati per una ripresa dell’inflazione (che tende a portare instabilità e volatilità), cui segnali si sono visti sia in Europa che in America. “Si tratta di una ripresa non esagerata, ma moderata, che è invece salutare e ben vista dal mercato, che però richiede anche protezione. Per quanto ci riguarda, stiamo portando avanti il tema dei real asset attraverso una componente legata all’investimento sull’immobiliare. Lo facciamo in maniera non convenzionale perché l’idea è quella di individuare quelle società che hanno dei progetti immobiliari in specifici quartieri di alcune ‘global city’: le metropoli più promettenti e dinamiche a livello globale che, per infrastrutture, crescita economica, livello culturale e tecnologico, rappresentano un polo di attrazione per la popolazione”, spiega Tenani.

Due fenomeni obbligazionari

Infine, secondo Pietro Martorella, country head Italia di AXA Investment Managers, vi è in atto un’evoluzione nel modello di servizio dominante sul mercato italiano, dove la domanda di consulenza derivante dai clienti sta portando all’emergere di strutture dedicate di advisory nei distributori, così da poter creare prodotti efficienti, efficaci e remunerativi. “Queste strutture sono sempre più i nostri interlocutori principali. In questo senso, abbiamo controparti che preferiscono acquistare una singola expertise di una determinata casa di gestione”, afferma il manager, il quale rileva due fenomeni sul tema obbligazionario, e in particolare sulle strategie short duration. “Da un lato, vediamo un’esigenza di difendersi nell’obbligazionario dal rischio tasso. Un altro elemento che sta diventando sempre più rilevante per i nostri distributori è legato alla componente di attivi dei loro clienti detenuti in forma di cash, che oggi è molto consistente, e che faticano a portare verso soluzioni in grado di generare un ritorno sia per l’investitore finale che per il distributore stesso. Dovremmo interrogarci di più su come aiutare un distributore a trovare soluzioni alternative per spostare questi asset ‘vischiosi’, che non si muovono dai conti correnti, verso il risparmio gestito, conclude Martorella.