Basso tracking error ed elevato active share: è davvero possibile?

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Sempre più spesso si sente parlare di gestori azionari in grado di ridurre il tracking error, pur mantenendo un elevato active share. Ma come è possibile? Da Deutsche Bank spiegano che la prima cosa da fare è analizzare i singoli casi ed interpretarli, per capire cosa vogliono indicare davvero questi due ratio.

Come spiegano dal gruppo bancario, nel valutare la qualità della gestione degli investimenti, ciò che è interessante è sapere quale sia stata la redditività, il rischio o la volatilità assunti dal gestore. Tuttavia, per misurare il successo di un fondo che, per la sua politica di investimento, è limitata a determinati mercati, la sua redditività e volatilità da sole non sono più rilevanti, ma ciò che conta sono l’extra redditività e l'extra volatilità relative all’indice. Questo è ciò che viene chiamato tracking error ed è definito con la volatilità (ovvero la deviazione standard) delle differenze di redditività tra il fondo e l'indice.

Che cosa determina un maggior tracking error? Sicuramente il contributo maggiore viene dato dalla deviazione dalla composizione dell'indice. "Più un fondo è diverso dal suo indice, in linea di principio maggiore è il suo tracking error. Ciò si ottiene in diversi modi: attribuendo pesi diversi (in eccesso o in difetto) rispetto all'indice, includere titoli diversi, avere una posizione anomala di liquidità, l’uso di derivati che può modificarne il rischio”, aggiungono da Deutsche Bank.

L’active share invece misura il grado di deviazione del portafoglio dal suo benchmark o, in altre parole, la percentuale che si discosta da esso. In particolare, l'active share viene calcolato sommando le differenze, in valore assoluto, dei pesi del portafoglio rispetto a quelli del benchmark e il totale diviso per due. Un ETF che replica un indice ha un active share dello 0% mentre quella di un fondo attivo che investe al di fuori dell’indice è del 100%.

“Con le definizioni si comprendono meglio le differenze di questi due ratio. Il tracking error è una misura di rischio relativo, dato che si riferisce alla probabilità o alla facilità con cui la sua redditività può deviare da quella dell'indice. Invece, l’active share misura quanto sia attiva o passiva la gestione del fondo”, chiariscono da Deutsche Bank

Il nocciolo della questione è che, come rivelano gli esperti della banca tedesca, avere un active share elevato non implica necessariamente che il tracking error sia ugualmente alto. "Un fondo che si distacca dal suo indice, ma che investe in titoli simili (o molto correlati) avrà un active share elevato ma manterrà comunque un basso tracking error", affermano. Cioè, un gestore azionario europeo potrebbe investire in società che non sono nell'indice Eurostoxx ma, in pratica, hanno una correlazione molto elevata con i titoli che sono all’interno del benchmark.

Quando l'investitore viene a conoscenza dell’active share, dovrebbe sempre prendere le informazioni con cautela, perché una valore maggiore di questo ratio non dovrebbe necessariamente fargli pensare a un rendimento atteso più elevato. Da Deutsche Bank ricordano che negli ultimi anni sono stati pubblicati alcuni studi secondo cui i fondi con un active share maggiore hanno offerto rendimenti migliori rispetto a quelli con un valore minore, tuttavia questi risultati sono stati anche contestati in alcune pubblicazioni successive.

"Se queste conclusioni fossero vere, dovrebbero valere anche per i fondi con un maggiore tracking error poiché, come è facile da immaginare, l’active share e il tracking error sono abbastanza correlati: più un fondo differisce dal suo benchmark, maggiore è il rischio che la sua redditività si discosti da quella di quest’ultimo”, dichiarano dal gruppo bancario. Tuttavia, ciò non dovrebbe far pensare che quel prodotto si comporterà automaticamente meglio.

Tra le ricerche che mostrano un certo scetticismo sulla capacità predittiva dell’active share rientra quella di Morningstar realizzata sull'universo dei fondi azionari europei. La società di analisi ha riscontrato che, tra i prodotti più attivi, il gruppo di fondi con un active share superiore al 90% ha generato rendimenti inferiori rispetto alla media di quartile con l'active share elevato in tutti i periodi analizzati. Dato che i fondi con un’active share superiore al 90% mostrano una dispersione maggiore di redditività, la conclusione a cui è giunta Morningstar è che il rischio di raggiungere un active share molto elevato non è stato premiato a livello di redditività.