Banca d’Italia avverte sui potenziali rischi connessi ai PIR

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christopher_brown, Flickr, Creative Commons

La loro fama li precede e ormai non hanno più bisogno di presentazioni. Da quando sono stati introdotti nel sistema finanziario del nostro Paese con la Legge di Bilancio 2017, i Piani individuali di risparmio non hanno smesso di far parlare di sé (abbiamo dedicato un approfondimento al tema sulla rivista Funds People 17). La loro diffusione ha contribuito alla crescita del comparto dei fondi comuni, con una raccolta netta che ha sfiorato i 10 miliardi di euro a fine 2017 (oltre il 50% della raccolta complessiva dei fondi aperti di diritto italiano).

A tenere gli occhi puntati su questi prodotti non sono solo investitori e asset manager, che studiano le soluzioni migliori da lanciare sul mercato, ma anche e ovviamente i regolatori e gli organi di vigilanza. Le osservazioni più recenti giungono questa volta da Banca d’Italia che nel suo ultimo ‘Rapporto sulla stabilità finanziaria’ pone l’accento su alcuni possibili rischi derivanti dalla crescita dei PIR.

Nel caso in cui i fondi conformi alla normativa PIR continuassero a crescere a ritmi sostenuti, si legge, “un aumento dei rischi potrebbe derivare da politiche di investimento che, per usufruire dei benefici fiscali, allochino una parte rilevante del portafoglio in titoli caratterizzati da un basso grado di liquidità, benché negoziati su mercati regolamentati”. In questi segmenti di mercato, avverte l’autorità, “episodi di volatilità dei corsi potrebbero essere particolarmente accentuati, riflettendosi negativamente sui risultati dei PIR e sulla reputazione degli intermediari che li promuovono”.

Il 2017 dei PIR in numeri

Nella sezione del documento dedicata ai Piani individuali di risparmio, Banca d’Italia fornisce una serie di dati sugli investimenti nei fondi comuni conformi alla normativa. Dei 64 prodotti, attivi principalmente nei comparti azionario e bilanciato, 44 sono di diritto italiano e il loro patrimonio, a fine 2017, ammontava a 12,5 miliardi (di cui oltre il 56% era investito in titoli di società non finanziarie residenti a fronte di una media inferiore al 3 per cento per gli altri fondi).

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“Gli investimenti in titoli emessi da imprese italiane riguardano principalmente società di media e grande dimensione dei settori manifatturieri e dei servizi”, scrive Banca d’Italia. “Le obbligazioni ammontano a 2,5 miliardi mentre appena l’1% è investito in minibond. Le azioni, pari a 4,3 miliardi, sono concentrate su un numero limitato di imprese: il 50% è distribuito su 24 titoli”.

Nel 2017 gli investimenti in titoli con bassa o media capitalizzazione, rientranti nei requisiti previsti dalla normativa, si sono accompagnati a un forte incremento dei corsi nei corrispondenti segmenti di mercato. “L’effetto diretto degli acquisti sui prezzi di mercato appare al momento limitato”, si legge. “L’apprezzamento dei corsi ha infatti riguardato anche titoli non interessati dall’attività dei fondi. Tuttavia, nel caso in cui i PIR continuino a crescere a ritmi elevati, non si può escludere che i loro investimenti possano contribuire a una sopravvalutazione dei corsi nei segmenti meno liquidi del mercato.