Una scelta travagliata

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I dati economici degli ultimi mesi nel mondo sviluppato segnalano una situazione di modesta crescita e bassa inflazione. La crescita segna una accelerazione in Eurozona con prezzi in deflazione e un consolidamento negli Stati Uniti e prezzi in modesta salita.

La situazione dell’Eurozona è al centro dell’interesse degli investitori per tanti motivi.

Sono passati sei anni dal 2008 e i mercati globali hanno fatto molta strada, le istituzioni politiche e monetarie hanno adottato numerose iniziative e svariati aspetti sono migliorati. Ma per un investitore libero di muoversi sui mercati internazionali, la scelta dell’Eurozona è ancora una scelta travagliata, che ha dato molte frustrazioni in questi anni, nonché periodiche delusioni.

Eppure non si può trascurare un’area con 300 milioni di consumatori, che negli ultimi anni è stata fonte di tensione sui mercati globali ed ha contribuito negativamente alla crescita globale, se non altro per stare attenti a cosa ancora potrebbe andar male. Nello stesso tempo, il ritardo dell’Eurozona nell’agganciare la crescita globale potrebbe rivelarsi un’opportunità qualora la situazione dovesse virare in positivo.

Se infatti i mercati obbligazionari europei offrono rendimenti bassi e in molti casi negativi, i mercati azionari europei trattano sui livelli di quindici anni fa e le imprese quotate generano utili ancora sui minimi post crisi.

La ripresa degli utili delle aziende europee è uno dei principali temi su cui si stanno concentrando gli analisti. In termini di valutazioni su utili correnti infatti l’Eurozona tratta a un ratio prezzo/utili non molto distante da quello americano, ma gli utili delle aziende americane sono sui massimi storici.

I dettagli del quantitative easing in gennaio hanno confermato definitivamente l’evoluzione della BCE verso un modello simile a quello americano e giapponese, che vede la banca centrale svolgere il ruolo di prestatore di ultima istanza in casi d’emergenza. Questo può anche essere visto come il momento storico in cui si sono poste le basi per un’unione dei debiti pubblici in Eurozona: la condivisione delle perdite in cui eventualmente la BCE incorrerà nel detenere titoli di stato dei diversi paesi è solo parziale, ma ha comunque un significato importante.

La vicenda della Grecia, a giudicare dall’andamento dei mercati periferici, è un caso a parte, l’errore di percorso della Grande Crisi a cui si cerca ancora di porre rimedio, mentre gli altri paesi periferici sono protetti da un quantitative easing credibile e da un percorso di riforme che qualche segnale positivo lo sta dando. Se si vuol essere ottimisti, la trattativa portata avanti dalla Grecia in queste settimane con le istituzioni europee potrebbe essere uno stimolo per una evoluzione positiva della politica economica comunitaria.

Le conseguenze e l’utilità del quantitative easing nel lungo periodo sono ignote ai più, anche per i paesi che l’hanno praticato sin dall’inizio della crisi e che ne stanno uscendo. Si sa soltanto, forse, che l’assenza di quantitative easing si tradurrebbe in una situazione peggiore dell’attuale. Nel breve periodo però l’acquisto di titoli da parte di una banca centrale è un formidabile supporto ai mercati e ai prezzi degli asset finanziari, in particolare dell’area coinvolta: parte della sovraperformance dei mercati azionari americani e giapponesi rispetto a quelli europei negli ultimi due anni può essere attribuita al diverso modo di agire delle banche centrali.

Un’altra delle conseguenze di breve del quantitative easing è il deprezzamento della valuta. Alcuni economisti la chiamano guerra tra valute, perché se tutte le banche centrali scelgono questa strada, non è possibile che tutte le valute si indeboliscano. Ne consegue che si deprezzano le valute di quella banca centrale che sta facendo (o si pensa farà) più easing rispetto alle altre, come sta avvenendo ora per la BCE. L’Euro debole è un aiuto minore alla ripresa dell’Eurozona, perché l’area è in surplus commerciale da anni e il problema di fondo sono i consumi interni, non l’export. In ogni caso meglio un euro debole che forte.

Simile discorso vale per il calo dei prezzi delle materie prime energetiche. Siamo netti importatori di gas e petrolio e questo si traduce in un risparmio per famiglie e imprese simile a un taglio delle tasse.

Ma veniamo al punto principale. Un’economia sviluppata delle dimensioni di quella Euro non può basare la sua ripresa su una valuta debole e sulle esportazioni. Il motore della crescita devono essere i consumi e gli investimenti interni.

In questo senso pesano molto i dati recenti su fiducia di imprese e consumatori, in miglioramento in tutta la zona Euro. Sono uscite nei giorni scorsi buone vendite al dettaglio in Spagna e molti istituti hanno rivisto al rialzo le stime di crescita per l’Italia. L’ultima “Credit Survey” della BCE segnala vitalità da parte delle banche nel far credito a imprese e famiglie.

Un indice curato da Citigroup mostra che negli ultimi mesi si sono avute meno sorprese positive sul fronte dei dati macroeconomici negli Stati Uniti e più in Eurozona.

Dati relativi ai flussi d’investimento da parte di investitori di portafoglio mostrano che l’interesse per l’Eurozona è alto da un mese a questa parte, dopo un disinteresse nella seconda parte del 2014.

I mercati globali vengono da anni di rally. Si tratta di un rally matematicamente al capolinea per le obbligazioni governative, dove più di tanto non c’è spazio in termini di calo dei rendimenti. Ulteriori salite delle azioni americane richiedono dati aziendali ancora in crescita, dopo una già importante salita e in un anno in cui il settore dell’energia rischia di pesare sulle reporting seasons.
I paesi emergenti non sono cari, ma manca un forte catalizzatore che riesca ad attrarvi grandi flussi di investimento, considerando anche le incertezze relative a Cina ed Est Europa.

Il potenziale offerto dai mercati azionari Euro è invece ancora parzialmente inespresso e questo in una fase in cui mancano le idee potrebbe tradursi in flussi e performances di tutto rispetto.

Il quantitative easing globale come già detto ha conseguenze ignote ai più nel lungo periodo; nel caso in cui dovesse andar male, non è affatto detto che i mercati azionari sarebbero più rischiosi di quelli governativi, visto che dietro alle azioni ci sono pur sempre delle imprese mentre dietro ai titoli di stato di tutto il mondo c’è al momento solo una montagna di moneta elettronica e ci sono cittadini meno devoti di un tempo all’idea che i debiti vanno sempre pagati.

Conviene quindi, in modo miope, seguire i flussi di breve e accodarsi a questa tanto attesa, e troppe volte posticipata, riscoperta dell’area Euro, sperando che la Grecia sia ormai una storia a parte e che non si presentino fattori esogeni in grado di rovinare la festa.